Dire Russia oggi rimanda subito
al nome del suo Presidente: Vladimir Putin. Ma chi è davvero il Presidente della Federazione Russa, e quale è stato il suo impatto sulla politica dell’ex URSS?
Foto di Platon per il Time
L’ascesa di Putin
Vladimir Vladimirovič Putin nasce a San Pietroburgo il 7 ottobre 1952, da una famiglia modesta.
Nel 1975 si laurea in diritto internazionale all’Università di Leningrado, per poi arruolarsi nel KGB, il servizio segreto dell’Unione Sovietica. òDopo il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica viene richiamato a San Pietroburgo (era assegnato a Dresda) e nel 1991 presenta le dimissioni dal KGB.
Nel 1994 avviene un evento fondamentale per la vita di Putin: alle elezioni suppletive per il collegio di San Pietroburgo viene eletto deputato alla Duma (il Parlamento russo). Inizia qui la sua ascesa politica inarrestabile: nel 1997 Boris Eltsin (Presidente della Federazione Russa) lo nomina capo del personale presidenziale e nel 1998 viene nominato, ancora da Eltsin, direttore dell’FSB, i nuovi servizi segreti russi, eredi del KGB.
Mentre il Paese sta vivendo una situazione interna drammatica (inflazione crescente, guerra in Cecenia, bancarotta nel 1998, crollo del welfare, aumento spropositato della disoccupazione), il 19 agosto 1999, Eltsin nomina Putin Primo Ministro della Federazione Russa.
Il primo atto di Putin da capo del Governo è stata la visita alle truppe dell’esercito russo nella regione del Daghestan, che era sotto attacco terroristico dei ceceni, per risollevare il morale dei soldati. Grazie a questo gesto e alla cura della sua immagine di “uomo forte e deciso” ha visto salire il proprio consenso, riscuotendo un successo sempre maggiore tra i cittadini della Russia.
Vista la sua sempre crescente popolarità come Primo Ministro, nel 1999 viene designato da Eltsin, ormai malato e vicino alla morte, come Presidente ad interim. A marzo del 2000, scaduto il suo mandato, si svolgono nuove elezioni presidenziali: Putin ottiene oltre il 50% dei voti (il secondo candidato più votato si ferma al 29%), e diventa ufficialmente Presidente della Federazione Russa.
Presidente dal 2000 al 2008 (con il limite di due mandati consecutivi, ciascuno di 4 anni), Primo Ministro dal 2008 al 2012 durante la presidenza del delfino Medvedev, e di nuovo Presidente dal 2012 (questa volta con mandati di 6 anni a seguito di un referendum popolare).
Vladimir Putin sarà quindi alla guida del Paese fino al 2024, dopodiché, secondo le regole costituzionali, non potrà presentarsi alla elezioni poiché si tratterebbe del terzo mandato consecutivo .
Sappiamo dunque quella che è stata l’ascesa politica inarrestabile di Putin, ma durante il suo “regno” come è cambiata la Russia?
La Russia di Putin
Dal punto di vista economico, durante i primi mandati di Putin il Pil russo è aumentato in maniera costante, con un picco del 10% raggiunto nel 2000. Negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2007, la Russia ha attraverso una recessione devastante con un crollo dell’8% del PIL, per poi risollevarsi negli anni successivi e mantenersi costante, con un ribasso significativo nel 2015 a causa della crisi finanziaria causata dalla svalutazione del rublo.
Crescita del PIL in Russia nel periodo 1998-2018. Fonte: World Bank
Gli indicatori economici generali, durante la presidenza di Putin hanno subito una tendenza in linea di massima positiva. Per citarne alcuni (fonte: World Bank) tra i principali:
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Soglia di povertà nazionale: dal 40% nel 1998 al 12,8% nel 2011
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Tasso di disoccupazione: dal 13,2% nel 1998 al 4,6 nel 2018
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PIL pro capite: da 1834$ nel 1998 a 11.288 nel 2018 (con un picco di 16.007$ nel 2013)
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Spesa pubblica per l’istruzione (%PIL): da 2,97% nel 2000 a 3,74 nel 2016
A prima vista la Russia putiniana potrebbe quindi apparire come un paese “tipico”, con un’evoluzione socio-economica costante, con decrescite analoghe e contemporanee a quelle di altri Paesi occidentali.
Ma non è possibile fare affidamento esclusivamente su questi numeri per valutare il Paese.
La Russia putiniana si è sempre autoaffermata come nazione democratica, ma risulta esserlo solamente a livello formale: nei fatti Putin gestisce il Paese in maniera praticamente autonoma dal 2000, quindi da oltre 20 anni, senza che vi sia mai stata una vera opposizione o una voce discorde rispetto alla sua.
Gli indicatori economici sono migliorati, ma lo stesso non si può dire delle condizioni umanitarie e sociali del Paese, che sono ben al di sotto della media. In questi ambiti l’ipocrita democrazia russa dimostra tutta la sua fallacia: la morale è una sola, quella presidenziale.
Non si tratta di una democrazia, e certamente non di un Paese liberale (cosa sempre comunque rivendicata), ma di una vera e propria autocrazia, dove a decidere è sempre una persona sola: Vladimir Putin. Dove si è avuta una reviviscenza del culto della personalità, in cui il Presidente russo viene dipinto come l’uomo in grado di proteggere la Russia e i suoi cittadini.
Le opposizioni, quelle poche esistenti, si vedono infinitamente limitate nel gioco democratico dalle regole non scritte che si applicano in Russia, con impossibilità a manifestare ed esprimere il dissenso, e i capi politici censurati o incarcerati. Dove i giornalisti ostili al regime incorrono casualmente in morti poco chiare e insabbiate dal regime presidenziale.
Degli esempi? Aleksandr Litvinenko. Anna Politovskaja. Boris Berezovskij
Litvinenko è stato un ex ufficiale dei servizi segreti russi, costretto a fuggire in Gran Bretagna dopo aver scritto un libro in cui accusava l’FSB di una serie di attentati avvenuti in Russia nel 1999, in cui morirono oltre 300 persone. Morì nel 2006 a causa di un avvelenamento da polonio, di cui fu accusato il Presidente Putin. Ad oggi nulla è stato ancora chiarito sulle circostanze della sua morte.
Politovskaja era una giornalista, che aveva dedicato gran parte della sua produzione al racconto della corruzione del potere in Russia. Fu misteriosamente trovata morta nell’ascensore del suo palazzo, nel 2006. Nel 2014 sono state condannate 5 persone in quanto responsabili dell’omicidio (anche uomini della polizia), ma restano dubbi che il mandante possa essere proprio il Cremlino.
Berezovskij, oligarca e uomo molto vicino all’ex Presidente Eltsin, fu trovato impiccato nel suo appartamento di Londra (2013), dopo aver accusato Putin dell’omicidio di Litvinenko. Non è mai stato chiarito se si sia trattato di suicidio o di omicidio.
Questi sono solo esempi delle molte (centinaia!) morti che coinvolgono costantemente e in circostanza misteriose gli oppositori del Presidente Russo.
Per voler citare un caso analogo, a noi molto più vicino, possiamo pensare all’episodio che ha coinvolto l’attivista Vladimir Luxuria durante le Olimpiadi invernali di Sochi nel 2014.
Luxuria si presentò in piazza con una bandiera arcobaleno recante la scritta “Gay è ok” e rivendicando i diritti degli omosessuali, sfidando apertamente la bigotta (e omofoba) morale presidenziale e la legge russa che vieta la propaganda gay in presenza di minori.
La risposta della polizia russa non si è fatta attendere: l’ex parlamentare è stata arrestata e tenuta in stato di fermo per diverso tempo.
La Russia è un Paese in cui omosessuale significa pericoloso, nemico del popolo; dove è vietato manifestare pubblicamente per i propri diritti e lo stesso Stato è pronto a decidere chi è sbagliato e chi no. Un Paese estremamente razzista e quasi teocratico, dove religione e politica risultano essere intrecciate, con rimandi costituzionali mai velati a quella che è de facto la religione di stato, il cristianesimo-ortodosso.
Il The Economist nel suo Democracy Index (indice di classificazione della democrazia basato sui seguenti parametri: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e cultura politica) assegna alla Russia un punteggio di 3.11/10 (2019), classificandola di fatto come un regime autoritario.
Reporters Without Borders nel suo Press Freedom Index (in una scala da 0 a 100, in cui 0 corrisponde alla libertà massima) assegna alla Russia un punteggio di 48.92/100, inserendola nella classe classe con “Problemi notevoli”.
Una Russia senza Putin: si può?
Un Paese che non trova oggi futuro ed è costretto a rifugiarsi all’ombra del suo padrone, che nel tempo ha eliminato ogni possibile alternativa, diventando quindi l’unica scelta.
Perché oggi il vero problema della Russia è che non si vede un futuro all’orizzonte. Chi dopo Putin? Nella scena nazionale e internazionale non si vede alcun leader o presunto tale in grado di strappare lo scettro al Presidente russo, di prenderne il posto e traghettare la Russia verso il futuro.
La Russia stessa e la politica non vedono alternative, tanto che con il referendum costituzionale, qualora fossero approvati gli emendamenti presentati, Putin vedrebbe gli ultimi due mandati (2012-2018 e 2018-2024) azzerati, e potrebbe ricandidarsi per altri due mandati consecutivi. Un tempo di presidenza che supererebbe i 32 anni. L’ultimo a resistere così a lungo prima di Putin? Iosif Vissarionovič Džugašvili, o se preferite: Stalin.