Nel pieno della pandemia, diversi ospedali cinesi negli scorsi mesi hanno sperimentato l’utilizzo del plasma dei convalescenti per trattare piccoli gruppi di pazienti (10-15) infetti da coronavirus (SARS-CoV-2). I risultati sono stati incoraggianti, dimostrando infatti un miglioramento dei sintomi entro tre giorni dalla somministrazione del plasma.
La sperimentazione è partita da qualche settimana in alcuni ospedali del Nord Italia, e anche in questo caso ci sono stati degli esiti positivi su alcune decine di pazienti.
Il plasma (o “siero“, che non è esattamente la stessa cosa, ma per semplicità lo useremo come sinonimo) potrebbe rivelarsi uno strumento utile in questa fase della pandemia, in cui ancora non sono stati sviluppati né vaccini né farmaci totalmente efficaci contro COVID-19. Nonostante ciò, non bisogna pensare che questa sia la soluzione definitiva e che si debba quindi abbandonare la strada verso la produzione dei vaccini. Vediamo insieme perché.
Cosa è la sieroterapia?
Un paziente che guarisce da una malattia (“convalescente”) possiede nel suo sangue gli anticorpi specifici contro il patogeno che la causa. Prelevandone il siero e donandolo ad un altro paziente malato, che non ha ancora sviluppato anticorpi, gli si fornisce un’arma valida per contrastare meglio la malattia. Questo approccio è noto come sieroterapia.
Il siero consiste nel sangue privato di ogni tipo di cellula (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine), quindi contiene al suo interno principalmente acqua in cui sono disciolte molte proteine, tra cui gli anticorpi.
La sieroterapia non è una terapia nuova, infatti è nota ai medici da più di cent’anni. E’ una forma di immunizzazione passiva usata come principale strategia di profilassi per molte malattie infettive come la rabbia, il tetano, l’epatite A, B, e altre. Però non sempre funziona, come mostrano recenti studi sull’HIV e sull’influenza.
Vantaggi e svantaggi
Utilizzare il plasma dei convalescenti presenta molti vantaggi: è disponibile fin da subito, non occorre aspettarne lo sviluppo come accade per i farmaci, e non serve testarne la sicurezza poiché deriva dall’essere umano. Questo ne riduce di molto anche i costi.
Tuttavia, come già accennato, non è detto che la terapia funzioni su tutti i pazienti. Fino ad oggi infatti, le sperimentazioni sono state svolte senza un gruppo di controllo a cui somministrare un “plasma-placebo”, passaggio fondamentale per capire se il trattamento funziona oppure se i pazienti sarebbero guariti alla stessa velocità.
Il controllo è fondamentale anche per studiare un particolare fenomeno collaterale tipico di questa terapia, il potenziamento anticorpale (o antibody-dependent enhancement). Si tratta di un processo lesivo per il sito dell’infezione (in questo caso i polmoni) dovuto agli anticorpi donati, i quali con un meccanismo ancora non del tutto noto potrebbero favorire indirettamente l’ingresso del virus nelle cellule dell’organismo ospite, aumentando quindi la severità della patologia. Sono attualmente in corso diversi studi proprio per valutare quanto sia concreto questo rischio.
Inoltre, le donazioni di sangue non possono diventare un protocollo obbligatorio, ma devono essere condotte su base volontaria. Non tutti i volontari però potranno donare il proprio siero: bisogna infatti selezionare quelli adatti, ovvero coloro che possiedono anticorpi in quantità sufficiente (di solito chi ha superato la patologia da poco tempo), e verificare che col proprio sangue non trasmettano malattie infettive.
C’è poi da tenere a mente il gruppo sanguigno, che deve essere lo stesso tra donatore e ricevente.
E infine, va considerato che per un paziente malato non basta un solo donatore: le norme di sicurezza in merito alle donazioni di sangue o plasma stabiliscono un volume massimo per donatore (450 ml di sangue o 700 ml di plasma), dunque per trattare un paziente sono necessarie più donazioni (2-3), per fornire il quantitativo di anticorpi sufficiente alla patologia.
Un po’ di ottimismo
Sintetizzando al massimo, considerando che al momento si tratta di un’analisi preliminare, l’impressione è che si tratti di una terapia promettente e soprattutto ben accolta, come dimostra la grande risposta sollevata in Italia quando sono state intraprese le campagne di donazione verso i guariti.
Ad ogni modo, nella scienza non c’è mai nulla di certo, e questa pandemia continua a dimostrarlo giorno dopo giorno. In un momento come questo, è particolarmente importante che si intraprenda il numero massimo possibile di studi su ogni tipo di approccio: ciascuno di essi può essere efficace in certe occasioni e meno efficace in altre, ecco perché per i medici è meglio avere un’ampia possibilità di scelta anziché sperare che un solo tipo di farmaco vada bene per tutti, come raramente accade.
FONTI E APPROFONDIMENTI
Anche in Italia si sta provando a trattare i malati COVID-19 col plasma dei guariti, Redazione, Il Post, 1 Maggio 2020
Coronavirus: la terapia con plasma convalescente, Guido Silvestri, MedicalFacts, 3 Maggio 2020
Coronavirus: facciamo chiarezza sulla terapia con il siero di pazienti guariti, Roberto Burioni, MedicalFacts, 4 Maggio 2020
Deployment of convalescent plasma for the prevention and treatment of COVID-19, Evan M. Block et al, Journal of Clinical Investigation, 7 Aprile 2020
Current studies of convalescent plasma therapy for COVID-19 may underestimate risk of antibody-dependent enhancement, Andrew B. Fleming et al, Journal of Clinical Virology, 28 Aprile 2020
I tipi di donazione, AVIS