Il 20 e 21 settembre gli italiani si recheranno alle urne per decidere, tramite un referendum costituzionale, se diminuire il numero di parlamentari attualmente presenti alla Camera e al Senato.
La proposta di una riduzione degli eletti al Parlamento era già stata approvata nell’ottobre 2019 e sarebbe dovuta entrare in vigore a partire da gennaio. Tuttavia, in osservanza del comma 2 dell’art. 138 della Costituzione, 71 senatori hanno deciso di presentare la richiesta di indire un referendum popolare presso la Corte suprema di Cassazione che ne ha accertato la legittimità e conformità.
Che cosa ci verrà chiesto con questo referendum?
Agli elettori verrà posto il seguente quesito:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?»
Il referendum sarà confermativo, quindi il voto non andrà ad impattare una legge già esistente ma approverà o meno una norma costituzionale. A differenza di quello abrogativo, il referendum confermativo non richiede il raggiungimento di un quorum: questo significa che non è posta nessuna soglia minima di votanti affinché il voto possa essere considerato valido.
Cosa prevede la riforma
Come posto nel quesito stesso, in caso di vittoria del “Sì” verrebbero modificati gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione attraverso il taglio di 345 parlamentari: i deputati passerebbero da 630 a 400 mentre i senatori da 315 a 200. È prevista, inoltre, la riduzione dei parlamentari eletti dagli italiani residenti all’estero che passerebbero da 12 a 8 per i deputati e da 6 a 4 per i senatori. Infine, sarà stabilito anche un limite al numero massimo (non più di 5) di senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica.
Secondo i sostenitori del “No” tale riforma costituzionale dovrebbe comportare, però, una modifica all’attuale legge elettorale: essendo il numero di parlamentari minore, occorrerà ridisegnare i collegi affinché i nuovi numeri siano ridistribuiti in maniera equa su tutto il territorio italiano, garantendo a tutti piena rappresentanza. Attualmente l’Italia conta un deputato per ogni 96 mila abitanti, mentre con la riforma si passerebbe a circa 151 mila abitanti per rappresentante.
Cosa ne pensano i nostri politici?
La proposta del taglio ai parlamentari nasce dal Movimento 5 Stelle e rappresenta uno dei punti cardine a sostegno della sua cosiddetta campagna “anti-casta”. Il Movimento è pertanto il principale sostenitore del fronte del “Sì” e si sta muovendo per promuovere la riforma costituzionale.
Secondo i pentastellati, una riduzione degli eletti consentirebbe un risparmio di decine di milioni all’anno per le casse statali, velocizzerebbe e snellirebbe i lavori delle Camere e innescherebbe un meccanismo di miglior selezione dei candidati. A sostegno di quest’ultimo punto, i 5 Stelle hanno infatti voluto evidenziare che circa i due terzi dei parlamentari di questa legislatura non ricoprono alcuna carica e che l’assenteismo è una pratica diffusa in entrambe le Camere.
Si schierano con il fronte del “Sì” anche Fratelli d’Italia e Lega, anche se quest’ultima ha preferito mantenere un profilo basso. All’interno di Forza Italia, invece, seppur il partito sia schierato ufficialmente con il “Sì”, sono emersi pareri contrastanti: alcuni esponenti tra cui Silvio Baldelli, Andrea Cangini, Renato Brunetta, Giorgio Mulè (portavoce del partito) e Nazario Pagano si sono mostrati fortemente contrari al taglio dei parlamentari e hanno preso parte attivamente al comitato del “No”.
È ancora incerta la posizione del Partito democratico che, tuttavia, ci tiene a sottolineare l’importanza di una modifica alla legge elettorale in caso di vittoria del “Sì”. È in programma nei prossimi giorni una Direzione di partito dalla quale dovrebbe emergere la posizione ufficiale dei dem sul referendum. Indipendentemente dal risultato dell’incontro, anche all’interno del Pd ci sono alcuni esponenti come ad esempio il ministro della Difesa Loreno Guerini, il governatore della Campania Vincenzo De Luca e i parlamentari Tommaso Nannicini, Matteo Orfini e Francesco Verducci, che hanno già preso posizione a sostegno del “No” e che non sembrano disposti a cambiare idea.
Italia Viva di Matteo Renzi, invece, ha deciso di non esporsi e ha lasciato libertà di coscienza ai propri elettori, nonostante anche in questo caso siano presenti alcuni esponenti di partito apertamente sostenitori della campagna per il “No”.
Ben diversa è la situazione di Sinistra italiana, i Verdi, i Radicali, Rifondazione comunista, Partito socialista, Azione e +Europa che sono uniti al fronte del “No”. A questi si aggiungono alcune associazioni e movimenti sociali, quali l’Anpi, l’Arci, le Acli e le Sardine e alcune testate giornalistiche tra cui La Repubblica e La Stampa.
I sostenitori del “No” si mostrano preoccupati per il rischio concreto di una sotto-rappresentanza che andrebbe ad impattare in particolar modo il Senato. Infatti, poiché il Senato è eletto su base regionale, la riduzione del numero dei senatori creerebbe un vantaggio per le liste che godono di maggiori consensi elettorali, escludendo così quelle liste che, pur avendo superato la soglia di sbarramento a livello nazionale, non potrebbero partecipare alla distribuzione dei seggi su base regionale. Con la diminuzione di parlamentari l’Italia diventerebbe il Paese europeo con il minor numero di rappresentanti in relazione al numero dei cittadini.
Oltre a creare una disparità tra eletti ed elettori, la riforma porterebbe ad un’alterazione nell’attuale sistema del bicameralismo perfetto: il Senato si troverebbe senza le risorse necessarie per tenere il passo con il lavoro svolto dalla Camera. Inoltre, senza un’adeguata modifica dei regolamenti interni delle Camere, il taglio porterebbe ad un malfunzionamento dell’Aula, dell’Ufficio di Presidenza delle Giunte e delle Commissioni, e comporterebbe una forte limitazione per i gruppi più piccoli che sarebbero esclusi da questi collegi.
Per quanto riguarda il risparmio pubblico che si otterrebbe tagliando alcuni posti in Parlamento, il comitato del “No” ha dichiarato più volte di ritenere grave ed estremamente semplicistico ridurre il concetto di democrazia e rappresentanza ad un costo. “La democrazia non è economica né a buon mercato”, hanno detto le Sardine nel post Facebook in cui spiegano le loro ragioni a supporto del “No”. Sono stati posti poi forti dubbi sull’effettivo risparmio economico che si otterrebbe diminuendo di un terzo i nostri parlamentari: uno studio condotto dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani ha dimostrato come la riforma porterebbe ad un risparmio netto pari allo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana.
Cosa dicono i sondaggi
Da mesi ormai i sondaggi mostrano un netto vantaggio per il “Sì” ma di recente, e a seguito di una forte campagna sui social del comitato per il “No”, è stata registrata una crescita degli sfavorevoli alla riforma. Seppur ancora in svantaggio rispetto al “Sì”, i sostenitori del “No” stanno guadagnando terreno, come mostra l’ultima indagine condotta da Winpoll.
Sondaggio del 25/08/2020