Social media, dopamina e fake news

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Da quanto tempo vi sentite dire che i social media controllano le vostre vite manipolando ed incamerando i vostri dati personali?

 

“Se il prodotto è gratuito, tu sei il prodotto”

 

Così afferma in un estratto il documentario The Social Dilemma, in classifica come uno degli show più visti su Netflix nel 2020, definito “il documentario più importante dei nostri tempi” da firme come The Independent. Il docudrama si concentra sugli aspetti negativi delle principali piattaforme tecnologiche di oggi, supportato da interviste con ex dipendenti della Silicon Valley. Dopo la sua visione molti utenti dei vari social media – come Instagram e Facebook – hanno pensato di abbandonare i propri account.

 

Il documentario riesce a mettere, infatti, in primo piano le preoccupazioni degli intervistati che raccontano quanto i social media riescano a minare la loro percezione della realtà. Da qui la richiesta agli spettatori di rivalutare il loro rapporto con la tecnologia.

Una delle voci principali del documentario è Tristan Harris, ex “etico del design” di Google. Harris racconta quanto i social media siano riusciti a diventare nel tempo uno strumento che ha come unico fine quello di perseguire obiettivi mirati attraverso la manipolazione psicologica degli eventi.

 

Ma cosa vuol dire nel concreto? Significa che l’obiettivo finale delle aziende tecnologiche è unicamente riuscire ad identificare all’interno del pubblico una tipologia di utente ed estrarre quanti più dati possibili su di lui e il target associato. Questo meccanismo indirizza gli utenti verso la cosiddetta “tana del bianconiglio”, curata individualmente da un utopico gruppo di “2,7 miliardi di Truman Show’s” che operano contemporaneamente.

 

Social Media: ansia o felicità?

 

Gli scienziati hanno dimostrato come i social media riescano ad innescare meccanismi collegati ai centri cerebrali del piacere. Ogni volta che vediamo un grande numero di “mi piace”, infatti, aumenta il nostro livello di dopamina, comunemente conosciuta come l’ormone della felicità. Molte persone sono facilmente dipendenti dalla stimolazione della dopamina, e diventare una celebrità di Instagram è uno dei metodi per ottenere una costante iniezione di questo ormone nel cervello.

Un recente studio, pubblicato sulla rivista Psychological Science, ha infatti affermato che la dopamina chimica del cervello – che viene attivata mangiando cioccolato e vincendo denaro – si attiva quando gli adolescenti vedono un grande numero di like sui loro post.

 

FOMO è l’acronimo di Fear Of Missing Out. Un problema psicologico di recente scoperta, che ha le sue radici, e cause, interamente nei social media. Si basa su due elementi: l’ansia e il modello di base del comportamento sociale. Le persone sono considerate animali sociali, poiché la comunicazione e l’interazione nella vita reale sono fondamentali per mantenere un normale stato di salute mentale.

Questa ‘paura di perdere’ rappresenta la tendenza a manifestare l’ansia di perdere esperienze gratificanti con e da gli altri. È stato associato a interruzioni della vita quotidiana, come distrazioni durante la guida oppure durante il lavoro.

 

Quali sono le problematiche riscontrate in questi ultimi tempi sui social media?

 

Il deterioramento della salute mentale è una delle più grandi preoccupazioni collegate all’utilizzo dei social media. Un ampio numero di dati indicano che esiste un rapporto tra l’aumento dell’ansia, della depressione e dei suicidi e l’aumento sempre più diffuso dell’uso dei social media e del cellulare, soprattutto tra gli adolescenti – a partire dalla cosiddetta generazione Z. Altro dato preoccupante è la crescente diffusione della disinformazione, che ha portato all’aumento della radicalizzazione degli estremisti in Medio Oriente e i suprematisti bianchi negli Stati Uniti, alla polarizzazione politica e all’uso spropositato da parte di regimi autoritari.

 

Esempio lampante è uno dei fenomeni che ha colpito il mondo intero nel 2020, la pandemia da Covid-19. Facebook è stato dichiarato un “pericolo per la salute pubblica” dopo che i dati hanno dimostrato che gli utenti avrebbero letto oltre 3,8 miliardi di “fake-news” sul coronavirus.

 

Picchi di suicidio in giovani ragazze dipendenti dai ‘mi piace’

 

L’impatto che i social media hanno avuto sui giovani e sulla loro salute mentale sembra aver portato inoltre ad un aumento dei suicidi nelle ragazze in età preadolescenziale, insieme ad un allarmante aumento nel numero di adolescenti negli Stati Uniti ricoverati in ospedale per autolesionismo.

Per le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni, dal 2009 a oggi i suicidi sono aumentati addirittura del 62%. Le date coincidono inequivocabilmente con l’ascesa di app come Instagram, lanciata nel 2010, che incoraggia gli utenti a scegliere filtri per migliorare il proprio aspetto e a compararsi costantemente con gli altri utenti.

Alcuni esempi di alimentazione della violenza tramite i social media

 

Myanmar: dietro la “pulizia etnica” che ha portato alla morte di migliaia di musulmani, su Facebook si è svolta una sinistra campagna. I soldati del Myanmar si sono spacciati per pop star e celebrità per inondare le notizie con una crudele propaganda che diffamava la minoranza Rohingya, seminando disinformazione e odio. Questo includeva uccisioni di massa, incendi di interi villaggi, stupri di gruppo e altri gravi crimini contro l’umanità che ora hanno portato 700.000 musulmani Rohingya a dover lasciare il paese.

Facebook ha poi ammesso che i suoi strumenti erano stati utilizzati dal personale militare del Myanmar per diffondere propaganda pericolosa contro la sua popolazione musulmana. 

India: WhatsApp, di proprietà di Facebook, è stato il veicolo di diffusione di voci falsi riguardo al rapimento di bambini, che ha ispirato linciaggi di massa: folle violente si riunivano attaccando gli sconosciuti, pensando che si trattasse di rapitori di bambini, nonostante le voci fossero totalmente inventate. Almeno altre 17 persone sono state uccise per questo motivo, e in tutti i casi, secondo la polizia, le voci erano state diffuse tramite messaggi su WhatsApp.

 

Disinformazione, supremazia bianca e teorie del complotto:

1. YouTube è stato accusato di spingere gli spettatori a guardare clip sulla supremazia bianca e teorie complottistiche attraverso il suo algoritmo fatto di proposte considerate “dannose”.

Gli esperti sostengono che youtube sia stato progettato per mantenere gli spettatori agganciati agli schermi spingendoli a guardare filmati sempre più estremi e coinvolgenti.

Un intervistato, infatti, riguardo quanto successo ha affermato: << Ho iniziato con un documentario regolare sull’olio di fegato di merluzzo. Nel giro di un paio d’ore, ho finito con i video consigliati sul governo che controlla la mente delle persone usando acqua fluorurata (…) >>

Un altro intervistato ha dichiarato inoltre: << Una volta ero alla ricerca di video sui vichinghi e il paganesimo nordico, ed è stato portato a video che promuovono il razzismo e la supremazia bianca (…) >>

Un intervistato ha anche accusato poi l’algoritmo di YouTube di promuovere l’omofobia: << Qualsiasi ricerca di contenuti LGBT positivi si traduce in una raffica di raccomandazioni omofobe e di destra >>

 

2. Pizzagate: Una voce infondata diffusa online riteneva che nel 2016 Hillary Clinton, e altri democratici, stessero dirigendo un circolo di traffico sessuale di bambini fuori da una pizzeria di Washington. Questa teoria complottistica ha avuto origine su 4chan ed è stata basata su e-mail hackerate al Partito Democratico. Il proprietario del ristorante, un donatore del Partito Democratico, appare nelle e-mail collegate al partito grazie ad una raccolta fondi democratica a cui avrebbe preso parte. Gli utenti di 4chan e Reddit affermavano che le parole all’interno delle e-mail incriminate – come formaggio e pizza – fossero in realtà dei codici per definire i bambini piccoli e gli atti sessuali. Nel dicembre dello stesso anno, un uomo armato con un fucile d’assalto ha aperto il fuoco nella pizzeria. Nei mesi precedenti alle elezioni presidenziali di quest’anno, la teoria del complotto del pizzagate è riemersa e le voci sono state accese da TikTok così come il gruppo cospiratorio QAnon sta ancora promuovendo le proprie idee pizzagate su gruppi privati di Facebook.

 

Il caso Sophie Zhang: “ho il sangue nelle mie mani”

Una data scientist, Sophie Zhang, recentemente licenziata da Facebook, ha rilasciato una dichiarazione a Buzzfeed sostenendo che Facebook abbia ignorato e sia volontariamente intervenuto troppo lentamente nella rimozione di alcuni account falsi sulla sua piattaforma, che erano stati creati per manipolare la popolazione e modificare le sorti di elezioni e affari politici in giro per mondo. La Zhang ha inoltre riferito di aver rifiutato una liquidazione di 64.000 dollari per dover evitare di firmare un accordo di non divulgazione.

Dopo essersi allontanata da Facebook e dopo aver, finalmente, ritrovato la “libertà di parola”, l’ex dipendente del colosso di Mark Zuckerberg, ha indicato la comprovata mancanza di reazione del social network alle pratiche illegali che venivano svolte dai suoi fake account, e ha dichiarato che l’azienda avrebbe consapevolmente e reiteratamente ignorato i suoi avvisi.

Il rapporto di Buzzfeed, citando il testo di Sophie Zhang riporta: “Nei tre anni che ho trascorso su Facebook, ho trovato molteplici tentativi palesi da parte di governi nazionali stranieri di abusare della nostra piattaforma su vasta scala per indurre in errore la propria cittadinanza causando notizie internazionali in più occasioni. Ho preso personalmente decisioni che hanno colpito i presidenti nazionali senza supervisione ed ho preso provvedimenti per far rispettare così tanti politici di spicco a livello globale che ho perso il conto.”

La nota è piena di esempi concreti di capi di governo e partiti politici, come quelli di Azerbaigian e Honduras, che hanno utilizzato account falsi per influenzare l’opinione pubblica. In paesi come l’India, l’Ucraina, la Spagna, il Brasile, la Bolivia e l’Ecuador, Sophie ha trovato svariate prove di campagne coordinate, di varie dimensioni, per favorire o ostacolare candidati politici o risultati, anche se non sempre è riuscita a capire chi fosse dietro a queste organizzazioni.

 

La Fake News sul cambiamento climatico

 

Una delle questioni più soggette alla diffusione di fake news è la lotta al cambiamento climatico. Il think tank statunitense Influencemap ha pubblicato il report “climate change and Digital information”, uno studio in cui racconta la disinformazione in materia climatica su Facebook. Utilizzando un elenco di 95 inserzionisti noti per aver promosso in precedenza fake news, InfluenceMap, ha identificato 51 annunci di disinformazione climatica negli Stati Uniti realizzati in un periodo di 6 mesi a partire da gennaio 2020, che hanno ottenuto circa 8 milioni di impressions.

L’obiettivo di chi diffonde fake news sul cambiamento climatico è quello di confondere gli utenti che interagiscono con il messaggio. La strategia più comune è quella di attaccare la credibilità delle scienze climatiche e dei suoi studiosi, prendendo spesso di mira il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).

Questa ricerca mostra come i gruppi che diffondono la disinformazione sul clima stiano sfruttando i potenti strumenti di targeting di Facebook per raggiungere un pubblico specifico. Facebook consente agli inserzionisti di indirizzare gli annunci utilizzando le informazioni dell’utente come età, sesso, posizione, connessioni, comportamento, istruzione e interessi.

Negli Stati Uniti, come mostra Influencemap, gli annunci di disinformazione climatica sono ampiamente ridistribuiti negli stati americani rurali e nei maschi di età superiore ai 55 anni. Per quanto riguarda la diffusione geografica, la maggiore intensità di impressions per persona è stata trovata in Texas e Wyoming. Inoltre, gli annunci di disinformazione climatica sono destinati principalmente a individui di sesso maschile in tutte le fasce d’età. Nelle persone tra i 18 e i 34 anni sono stati mostrati più annunci che contestano le future conseguenze del cambiamento climatico, mentre negli over 55 hanno maggiori probabilità di essere mostrati annunci che contestano le cause del cambiamento climatico.

 

Il 14 settembre 2020, Facebook ha lanciato il suo Climate Science Information Center e ha dichiarato di “impegnarsi ad affrontare la disinformazione sul clima”.

 

In conclusione: quanto è davvero grave la situazione?

 

C’è chi parla di imminenti guerre civili e c’è chi parla di fine della democrazia a causa dei social media. Eppure, nonostante gli aspetti negativi che si sono moltiplicati nel corso dell’ultimo decennio, i social media rimangono uno strumento da cui si possono ricavare molti aspetti positivi, per la possibilità che ci danno di comunicare ovunque ci troviamo nel mondo e venire a contatto con diverse fonti di notizie in tempo reale.

Inoltre, negli anni i social media sono diventati una grande opportunità per chi gestisce un’impresa o una professione individuale per la possibilità di connettersi con i propri clienti, vendere i propri prodotti ed espandere la loro portata nel mondo.

Quindi, mentre molti esperti dipingono un quadro allarmante, altri sono più ottimisti che la situazione possa essere migliorata – se tutti noi assumiamo un ruolo nel processo.

 

“Possiamo esigere che questi prodotti siano progettati in modo più umano. Possiamo esigere di non essere trattati come una risorsa estraibile” L’intenzione potrebbe essere: ‘Come facciamo a migliorare il mondo?’ Il modo in cui tutto ciò è progettato non sta andando in una buona direzione. Dobbiamo cambiare tutto questo.”  Tristan Harris in The Social Dilemma

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