Nel pieno dell’emergenza COVID-19 è ritornata in auge la disputa sui “vaccini”, già di per sé fonte di accesi dibattiti in Italia per via della legge Lorenzin dell’obbligo vaccinale.
Data per appurata l’efficacia dei vaccini, e considerata l’assoluta necessità di trovarne uno che protegga la popolazione dal SARS-CoV-2 quanto prima, cerchiamo di capire le dinamiche che stanno dietro alla creazione di un vaccino, e, soprattutto, come mai richiedono così tanto tempo.
Alcune delle aziende che si stanno occupando dello sviluppo del vaccino contro il COVID-19 hanno già cominciato, o cominceranno a breve, i primi test sull’uomo. Tuttavia, come spesso viene ricordato dai media, nessuno dei vaccini attualmente in sviluppo vedrà il mercato “prima di 12-18 mesi”.
Come mai occorre tutto questo tempo per creare un vaccino?
La risposta sarebbe molto lunga, forse troppo, ma cercheremo di abbreviarla per voi.
Cos’è un vaccino?
Il primo punto da chiarire è comprendere “cosa” è un vaccino. Purtroppo non esiste una definizione univoca, dal momento che non esiste un solo tipo di vaccino; alcuni però sono più utilizzati di altri, e potremmo quindi definirli “convenzionali”.
Un vaccino convenzionale è un preparato contenente vari elementi (adiuvanti, eccipienti, di cui però non ci occuperemo) ma, soprattutto, un patogeno o parte di esso, che viene reso innocuo. Questo fa sì che il patogeno non sia dannoso come quello originale e che, una volta iniettato nell’organismo, il sistema immunitario dell’ospite lo riconosca e produca degli anticorpi contro di esso, acquisendo così la capacità di neutralizzarlo.
L’organismo acquisisce quindi “l’immunità”: il nostro sistema immunitario sarà in grado di rispondere immediatamente nel caso in cui dovesse incontrare il patogeno originale in futuro.
Perché richiede così tanto tempo e dispendio economico?
Punto uno: bisogna individuare l’agente patogeno. Occorre comprendere come il virus o il batterio si trasmette, entra nell’organismo umano e si replica, e poi identificare quali sono gli antigeni (i componenti del virus o del batterio) in grado di attivare una risposta del sistema immunitario capace di eliminare o bloccare l’agente patogeno.
Punto due: una volta individuato l’agente patogeno, si passa all’allestimento dei preparati vaccinali. Questa è una fase che richiede molto tempo in quanto ogni specie ha proprie caratteristiche e spesso una spiccata tendenza a mutare, cioè a modificare alcune delle proprie caratteristiche per ingannare le difese degli organismi che attacca.
Ma non finisce qui. Una volta identificato il potenziale vaccino, cioè la soluzione più promettente, abbiamo l’avvio della fase detta “preclinica” in cui il preparato viene studiato utilizzando colture di cellule (in vitro) e modelli animali (in vivo), così da valutarne: comportamento, livello di tossicità, tolleranza, risposta immunitaria ed efficacia protettiva.
Una volta verificate sicurezza ed efficacia del vaccino, si passa ai test clinici.
La sperimentazione clinica è suddivisa in quattro fasi.
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La prima tappa prevede la somministrazione del vaccino ad un numero limitato di persone,soprattutto per valutarne gli effetti collaterali.
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Nella seconda fase il potenziale vaccino viene somministrato in dosi diverse: se ne studiano gli effetti e la capacità di indurre una risposta immunitaria valida.
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La fase tre prevede invece di allargare il campione di volontari ad alcune migliaia, permettendo di valutare l’efficacia del vaccino su larga scala.
Durante queste fasi dei test clinici (sperimentazione sull’uomo) per motivi etici non si procede a infettare i volontari con l’agente patogeno, come viene invece fatto nelle prime sperimentazioni sulle cavie animali, in quanto il rischio sarebbe troppo alto. Ciò implica ulteriori difficoltà nel mantenere tempi rapidi.
Se i risultati degli studi di queste prime tre fasi sono in linea con gli standard richiesti, se ne richiede l’autorizzazione per la distribuzione alle autorità competenti. Le agenzie del farmaco competenti sono: in Europa l’European Medicines Agency – EMA e negli Stati Uniti la Food and Drug Administration – FDA.
Il vaccino verrà quindi sottoposto a controlli di sicurezza, basati sulle analisi svolte da chi lo propone, ma le autorità possono chiedere ulteriori approfondimenti e test, se ritengono che le evidenze presentate non siano sufficienti. Se la valutazione delle autorità regolatorie è positiva, il vaccino può essere messo in commercio.
Da qui inizia la fase quattro, che consiste nel costante monitoraggio di sicurezza ed effetti secondari del vaccino negli anni e su una popolazione in costante aumento. Bisogna considerare che gli studi prevedono per ogni fase dei periodi di osservazione, che possono durare anni.
Questo è fondamentale:
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per assicurarsi che la vaccinazione non abbia portato a effetti collaterali imprevisti;
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per valutare la durata dell’immunizzazione di ogni individuo vaccinato. E questo è un altro fattore che “rallenta” i tempi di produzione.
Punti da precisare:
In situazioni di emergenza e in presenza di gravi infezioni, le autorità sanitarie possono consentire che si passi a una sperimentazione sull’uomo in tempi più brevi di quanto avviene normalmente, e che si coinvolga in fasi sperimentali precoci un maggior numero di persone. Ma il principio di precauzione (primo non nuocere) non può venire meno; solo in caso di infezioni caratterizzate da un elevato rischio di morte (come nel caso di Ebola) può essere eticamente accettabile che i rischi legati alla limitata conoscenza e all’incertezza siano maggiori rispetto allo standard abituale.
Bisogna poi tenere presente che purtroppo esistono infezioni virali per cui sono stati studiati vaccini, ma senza risultati. È recente, per esempio, la notizia dell’interruzione di uno studio clinico riguardante un vaccino contro l’HIV, nonostante sembrasse promettente. Dunque, purtroppo, non è possibile prevedere oggi se lo sviluppo del vaccino contro il nuovo virus avrà successo.