La legalizzazione della cannabis è un tema che da qualche anno si ripropone ciclicamente nel dibattito pubblico come nell’agenda politica, sia in Italia che nel resto del mondo. Secondo lo European Drug Report 2019, il 32,7 per cento della popolazione italiana tra i 15 e i 64 anni ha fatto uso di cannabis almeno una volta nella vita e il consumo nel nostro Paese è tra i più elevati d’Europa, dunque è bene conoscere un fenomeno sociale così diffuso e valutare pro e contro della legalizzazione.
Quasi un secolo di proibizionismo
Nel 1937 il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt firmò il Marijuana Tax Act, la legge che segnò l’inizio del proibizionismo nei confronti della coltivazione, del commercio e del consumo della canapa. In poco tempo il divieto si estese al resto del mondo, e nel 1961 l’Onu classificò la marijuana come stupefacente. L’atteggiamento dei governi verso la cannabis ha mostrato segnali di apertura solo negli ultimi anni: l’uso terapeutico della pianta – legalizzato per la prima volta dalla California nel 1996 – è oggi consentito in Australia, Canada, in gran parte dei Paesi europei e sudamericani e in 30 dei 50 stati federali americani. La legalizzazione della cannabis a scopo ricreativo, invece, interessa meno Paesi e ha una storia più recente: nel dicembre del 2013 l’Uruguay è stato il primo Paese al mondo a legalizzare la produzione, la distribuzione e la vendita della marijuana. In Olanda se ne possono acquistare fino a 5 grammi al giorno nei coffee shop autorizzati. In Spagna, Repubblica Ceca, Georgia, Sudafrica, Cile e Canada è legale la coltivazione e il consumo in luoghi privati. Gli stati americani che hanno legalizzato la vendita a scopo ricreativo sono Colorado, Washington, Alaska, Oregon, Washington D.C., California, Massachusetts, Maine, Nevada, Vermont e da quest’anno anche l’Illinois. Inoltre, molti Paesi negli ultimi anni hanno depenalizzato il possesso di modiche quantità per uso personale. Piccola curiosità: in Corea del Nord la cannabis è completamente legale e il governo non la considera una droga, anzi si racconta che le piante crescano accanto alle strade.
E in Italia?
Dal 2006 in Italia i medici possono prescrivere preparazioni a base di cannabis, utilizzate ad esempio per trattare il dolore cronico in pazienti affetti da sclerosi multipla o per controllare vomito e nausea causati dalla chemioterapia. Per quanto riguarda l’uso ricreativo, la legge 242 del 2 dicembre 2016 consente la coltivazione della canapa con un tasso di THC (il principio attivo psicotropo) tra lo 0,2 e lo 0,6%. Considerando che la marijuana illegale presenta livelli di THC spesso superiori al 20%, la cannabis legale viene chiamata cannabis “light” o CBD, nome del principio attivo che le conferisce proprietà rilassanti ma non “sballa”. Per questo non è considerata una droga ed è utilizzata soprattutto per combattere l’ansia o l’insonnia. In seguito all’introduzione della cannabis light, i terreni di canapa coltivati in Italia sono aumentati di 10 volte: da 400 ettari nel 2013 a oltre 4000 nel 2018.
CBD (cannabidiolo) e THC (tetraidrocannabidiolo)
A gennaio 2019 un senatore del Movimento 5 stelle ha presentato un disegno di legge che prevedeva la possibilità di coltivare la cannabis (in forma individuale o associata) e ne accettava la detenzione entro determinate quantità (15 grammi in casa e 5 grammi fuori). La proposta non è andata a buon fine a causa dell’ostruzionismo della Lega, che all’epoca governava con i pentastellati, ma a dicembre 2019 una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione ha aperto la strada per una revisione dell’ordinamento. In particolare, la Corte afferma che «devono ritenersi escluse dall’azione penale le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore». Tradotto: è depenalizzata la coltivazione casalinga della cannabis purché in quantità minima e per uso personale. Vuol dire che si può coltivare cannabis senza conseguenze penali? No, le sentenze della Cassazione orientano la giurisprudenza nazionale ma non modificano il quadro normativo, per il quale la coltivazione è ancora reato. Il Parlamento dovrebbe fare chiarezza.
I soldi delle mafie nelle casse dello stato
Uno degli argomenti più utilizzati a sostegno della legalizzazione è che la nascita di un mercato legale gioverebbe ai conti pubblici e darebbe un duro colpo alle mafie che oggi gestiscono il mercato. Uno studio dell’Università di Messina stima un beneficio fiscale pari a 6 miliardi di euro l’anno. Di sicuro la legalizzazione della cannabis non sarebbe una buona notizia per la criminalità organizzata, ma è facile ipotizzare che una fetta di mercato resterebbe fuori dai contorni della legalità. Negli stati di Washington e Colorado, i primi ad aver legalizzato oltreoceano, il mercato illegale controlla ancora rispettivamente il 30 e il 40% dei traffici. Anche il Canada il mercato nero resta florido: secondo dati governativi, solo il 28% dei consumatori acquista cannabis nei negozi autorizzati. Allo stesso tempo, però, l’economia legale della cannabis crea molti posti di lavoro: Whitney Economics ha calcolato che negli Stati Uniti la legalizzazione ha dato un lavoro regolare a più di 200 mila persone.
Con la legalizzazione della cannabis crescerebbe il consumo di droghe pesanti?
La “gateway drug theory” prevede che il consumo di droghe leggere aumenti le probabilità di consumare in futuro droghe pesanti come cocaina o eroina. Questo rischio esiste soprattutto nell’adolescenza, quando il cervello è più sensibile agli effetti delle sostanze psicotrope e il consumo di droghe può spingere verso gruppi sociali legati alla criminalità. Di contro, la legalizzazione permetterebbe di mettere in commercio una cannabis controllata e di conseguenza più “pulita”. Alcuni tipi di marijuana, infatti, vengono prodotti con l’aggiunta di metadone o altre sostanze nocive che ne alterano la composizione e facilitano il passaggio verso droghe pesanti.
Legalizzare la cannabis per svuotare le carceri?
Oltre il 35% dei detenuti nelle carceri italiane si trova lì per reati di droga, a fronte di una media europea del 18%. Questo dato in realtà non restituisce la complessità della situazione: molte condanne infatti sono legate a reati misti, non riguardanti solo lo spaccio di stupefacenti. In ogni caso, la cannabis è senza dubbio la sostanza più perseguita, interessando il 58% delle operazioni antidroga e il 96% dei sequestri. Nel 2016 la Direzione Nazionale Antimafia, allora guidata da Raffaele Cantone, espresse parere positivo per tutte le proposte di legge mirate a legalizzare la cannabis. Secondo l’autorità, una legalizzazione correttamente attuata porterebbe a una rilevante liberazione di risorse nel settore della giustizia, rallentato da decine di migliaia di procedimenti penali che richiedono l’impegno di magistrati, cancellieri e ufficiali giudiziari.
Insomma, la legalizzazione della cannabis è un tema molto ampio che riguarda diversi aspetti della vita pubblica e merita di essere affrontato in modo esaustivo. Pur riconoscendo che non esiste una dose letale di cannabis (nessuno è mai morto per overdose), si tratta di una sostanza che crea dipendenza e comporta rischi per la salute a lungo termine. Rischi associabili anche al consumo di prodotti legali, come alcol e tabacco, ma sui quali è bene essere educati e informati. In un paese in cui l’accesso alla cannabis è proibito solo formalmente, legalizzare vuol dire garantire la qualità del prodotto, controllare il traffico e promuovere un consumo consapevole, dando inoltre al consumatore la possibilità di scegliere se finanziare lo Stato o la criminalità organizzata.