La crisi Covid-19 in Iran

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Da quando la pandemia di Covid-19 ha avuto inizio, uno dei paesi più colpiti è stato l’Iran, dove si è registrato il primo focolaio il 19 febbraio a Qom, città simbolo della rivoluzione iraniana e residenza per molti anni di Khomeini.

Tutt’oggi l’Iran presenta il numero più alto di contagi tra i paesi del Medio Oriente, e la crescita dei casi non sembra rallentare.

Come è stato raccontato il contagio?

Quando il Covid-19 ha cominciato a diffondersi al di fuori dei confini cinesi, l’Iran era il paese che registrava il più alto numero giornaliero di contagi. Già a fine febbraio si contavano migliaia di casi, ma secondo esperti e studiosi, la Guida suprema Ali Khamenei stava nascondendo i dati reali sui contagiati e soprattutto sui morti.

Il 3 agosto la BBC ha pubblicato un articolo dal titolo “Coronavirus: Iran cover-up of deaths revealed by data leak” in cui racconta di aver ricevuto i veri dati sulla pandemia da una fonte anonima.

 

Cosa rivelano i dati forniti alla BBC?

A Teheran si contavano 8.120 morti, il numero più alto del paese. A Qom, la città primo focolaio del virus, dove il totale di abitanti è attualmente di 957.496, si contava in media circa un morto di covid-19 ogni mille abitanti. Per quanto riguarda il numero totale di decessi, che inizio pandemia ammontava a 14.405, dalla ricostruzione ottenuta dalla BBC si parla invece di 42. 000 morti effettivi. Mentre i contagi accertati erano 451.024 rispetto ai 278.827 comunicati ufficialmente.

 
 

Come ha reagito il governo di Hassan Rouhani alla pandemia?

Le misure di contenimento adottate dal governo iraniano sono state inizialmente più leggere rispetto a quelle di altri paesi che sono stati colpiti dalla pandemia altrettanto duramente. Partendo dalla cancellazione di tutti gli eventi pubblici e delle preghiere del venerdì, sono state successivamente chiuse scuole, università, centri commerciali, mentre sono rimaste aperte quelle attività commerciali ritenute essenziali e molti negozi.

La decisione iniziale è stata quella di non imporre lo stato d’emergenza, come hanno fatto i Paesi maggiormente colpiti dal Covid-19, per evitare eccessivi allarmismi. Inoltre, non sono state imposte forme di quarantena tra i cittadini.

Un altro errore commesso dal governo di Rouhani, molto più preoccupato dai risvolti economici della pandemia più che dalla crisi sanitaria, è stato quello di riaprire molto presto le attività commerciali. Ad aprile molti negozi e imprese hanno ripreso a lavorare, anche se nei “numeri ufficiali” iraniani non si era ancora registrato un calo dei contagi significativo.

Questo ha portato già dal mese di maggio a un incremento molto significativo dei contagi, che a luglio sono diventati 1500 al giorno.

 

Per quale motivo l’Iran sembra molto più in difficoltà rispetto agli altri paesi a gestire la pandemia?

Le difficoltà dell’Iran nel gestire la pandemia non sono legate a un deficit strutturale del sistema sanitario. A differenza di altri paesi del Medio Oriente, l’Iran gode di un buon sistema sanitario oltre che di un personale medico di ottimo livello.

Il problema principale dell’Iran nella gestione della pandemia deriva dalla sua situazione internazionale. Le forti sanzioni imposte dagli Stati Uniti, durante l’amministrazione Trump, hanno condotto il Paese in una forte recessione.

Con la sua difficile situazione economica, in piena pandemia, l’Iran non ha potuto acquistare tutto il materiale medico-sanitario indispensabile.

Non solo all’Iran manca la liquidità per acquistare i presidi, ma non può neanche chiedere un prestito, viste le sanzioni economiche imposte da Washington a partire dal 2018. Inoltre, gli aiuti medici e umanitari, che la comunità internazionale è solita inviare ai Paesi in maggiore difficoltà, non possono essere dispiegati nel contesto iraniano a causa delle sanzioni (e a volte vengono anche rifiutati dal regime stesso).

 

Com’è la vita in Iran date le sanzioni e la grave crisi economica?

Le sanzioni all’Iran sono state imposte in seguito al ritiro degli Stati Uniti nel maggio 2018 dal Joint Comprehensive Plan of Action, meglio noto come l’Accordo sul nucleare iraniano. L’obiettivo di queste sanzioni è quello di isolare a livello economico e diplomatico la Repubblica islamica, indebolendo il suo mercato petrolifero e svalutando la moneta nazionale, il Rial.

Ovviamente le classi sociali più colpite dalle sanzioni e dalla crisi economica sono le più povere che, dato l’aumento del carovita, hanno spesso difficoltà a reperire i beni di prima necessità.

Questa situazione di instabilità ha portato la società a ribellarsi più volte negli ultimi anni. Il culmine delle proteste è stato raggiunto nell’autunno 2019, in seguito al taglio dei sussidi sul carburante da parte del governo, che ne ha fatto lievitare il prezzo. Per limitare le proteste, le forze armate hanno dovuto in molti casi sparare sulla folla, e per bloccare le comunicazioni tra i manifestanti fu interrotto l’accesso a internet per oltre dieci giorni.

 

L’avvento della pandemia non ha fatto altro che peggiorare una situazione già difficile, se consideriamo gli impedimenti causati dalle sanzioni statunitensi, ulteriormente appesantiti proprio in piena crisi Covid-19, nonostante le richieste di sospensione della comunità internazionale. Gli USA hanno affermato più volte che le sanzioni applicate non coinvolgerebbero farmaci e beni umanitari, tuttavia molte aziende estere sono scoraggiate dal commerciare con Teheran proprio per evitare di essere coinvolte nelle sanzioni. Le misure rimangono infatti valide nel caso in cui questi beni siano destinati a entità riconducibili alla lista FTO (Foreign Terrorist Organizations).

Sono state per prime Francia, Gran Bretagna e Germania a inviare aiuti umanitari al Paese, avvalendosi dello strumento INSTEX, creato nel 2019 proprio per aggirare le sanzioni, La realtà iraniana rimane però critica e se sommata a un’economia fortemente compromessa già prima del virus, gli scenari possibili alla fine della pandemia sono tutt’altro che positivi. Per l’Iran, non rimane altro che attendere un più incisivo intervento della comunità internazionale o un eventuale, quanto improbabile, cambio di rotta degli Stati Uniti.

Cosa succederà all’Iran?

Il 6 ottobre è stato registrato il numero più alto di contagi in un solo giorno: 4.151. I contagi totali corrono verso i 500.000, mentre le vittime sono circa 27.658

La situazione nelle ultime settimane è molto critica: il responsabile dell’ospedale Masih Daneshvari di Teheran, Payam Tabarsi, ha rivelato che non ci sono più posti di terapia intensiva nei 105 ospedali dedicati ai malati di Covid-19 e potrebbero quindi rendersi presto necessari ospedali da campo. Masoud Babaei, funzionario al ministero per il Lavoro, ha annunciato che al primo agosto sono stati persi circa 850.000 posti di lavoro, di cui circa il 59% nel settore dei servizi e il 28% nelle industrie.

 

La Sharif University of Technology ha valutato che, se non dovessero essere prese delle misure più forti per contenere la pandemia e se la popolazione iraniana non dovesse adottare dei comportamenti di distanziamento sociale più stringenti, il rischio è che muoiano fino a tre milioni e mezzo di persone prima della fine della pandemia.

Inoltre, in assenza di aiuti umanitari, economici e medici, e date le sanzioni americane, l’Iran rischia il collasso della propria già compromessa struttura economica e sanitaria, e più generalmente della vita quotidiana dei propri cittadini, stanchi della mancanza di libertà causata dal regime.

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