In Libia governa il caos

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Vi sarà sicuramente capitato di leggere del generale Haftar, di al-Sarraj, degli scontri e dei bombardamenti a Tripoli, capitale libica. Questi rappresentano solo l’ultimo capitolo di una guerra che va avanti da un decennio: la Libia è nel caos da anni a causa di una guerra civile che alimenta l’instabilità politica del paese e di tutto il Mediterraneo.

 

Capiamolo assieme

 

Per ricostruire la situazione è necessario partire dal 2011, anno in cui un’operazione militare della NATO portò all’uccisione di Muammar Gheddafi, dittatore del paese nordafricano dal 1969. Dopo 42 anni di dittatura, la morte di Gheddafi venne presentata come l’inizio di un percorso di libertà e democrazia per la Libia, ma in realtà da quel giorno non si è più smesso di combattere e il paese è piombato in un caos politico e militare ancora irrisolto.

 

La destituzione del Raìs fu seguita da un tentativo di governo nazionale che però fallì, causando, nel 2014, lo scoppio di una guerra civile che di fatto spaccò il paese in due macroregioni: una a ovest – la Tripolitania – e una a est – la Cirenaica.

 

A queste due aree dal 2014 corrispondono due governi: nella Cirenaica il governo di Tobruk, dove l’uomo forte è il generale Khalifa Haftar; nella Tripolitania invece ci fu inizialmente un governo guidato da milizie islamiche (la cosiddetta Fratellanza Islamica), ma nel 2016 la Comunità Internazionale lo sostituì e impose un governo di accordo nazionale, nominando come primo ministro Fayez al-Sarraj.

Entrambi i governi hanno degli alleati internazionali: Sarraj a Tripoli è appoggiato dalla Comunità Internazionale (tra cui l’Italia) e dalla Turchia. Haftar a Tobruk ha invece dalla sua parte la Russia, gli Emirati Arabi, l’Egitto e la Francia. In tutto ciò si tenga a mente che questi due governi rivali non hanno mai avuto il pieno controllo su Tripolitania e Cirenaica, poiché la dittatura quarantennale di Gheddafi non ha permesso la creazione di un tessuto sociale sviluppato e in tutto il territorio libico ci sono centinaia di tribù e milizie armate che controllano piccoli centri e alimentano la confusione generale.

 

Non solo: dal 2014 anche l’Isis si è insediato in Libia, prendendo per lunghi periodi il controllo di importanti città come Sirte o Bengasi. Lo Stato Islamico è stato definitivamente allontanato nel luglio 2018, quanto Haftar in Cirenaica ha riconquistato l’ultima roccaforte del califfato, la città di Derna.

Photo credit: Amru Salahuddien

Il conflitto si è fatto particolarmente intenso nell’ultimo anno, in cui il generale Haftar ha prima preso il controllo dei giacimenti petroliferi nel sud del paese per poi lanciare l’operazione militare “Diluvio di dignità” con l’obiettivo di conquistare la Tripolitania, capitale compresa. Di fatto oggi Haftar controlla più di due terzi della Libia e Tripoli è sotto assedio, ma il supporto militare della Turchia ha permesso alle forze governative di Fayez al-Serraj di non cedere il controllo della capitale. Anzi, nelle ultime settimane il governo di accordo nazionale ha riconquistato alcune città chiave sulla costa occidentale, fino al confine con la Tunisia, frenando l’avanzata dell’Esercito Nazionale Libico guidato da Haftar. Le sconfitte sul campo hanno messo in difficoltà il generale, che ora bombarda Tripoli in modo indiscriminato e ne limita le forniture di acqua potabile ed energia elettrica, bloccando gli oleodotti che trasportano il petrolio necessario per generare corrente. Il 27 aprile l’uomo forte della Cirenaica si è presentato in tv e si è autoproclamato capo della Libia, annunciando di «accettare il mandato popolare di occuparsi del paese». Di fatto ha annunciato un golpe, ma le sue parole non sono state sostenute né dal parlamento di Tobruk né dagli alleati internazionali. Secondo alcuni analisti si è trattato di un tentativo disperato di mascherare le sconfitte dell’ultimo periodo e porre fine a quella che lo stesso Haftar aveva previsto come una guerra-lampo.

Le forze in gioco nel conflitto libico. Fonte: ISPI

In realtà la risoluzione del conflitto libico dipenderà poco dalla volontà del generale Haftar. Da anni ormai la guerra civile si è trasformata in una guerra per procura, finanziata e combattuta da attori internazionali a cui interessa poco (o forse nulla) del destino del popolo libico. Tutte le parti coinvolte, dalla Turchia alla Francia, dalla Russia agli Emirati Arabi, chiedono una soluzione politica. Significa sedersi a un tavolo e spartirsi la Libia, un paese ricco di risorse energetiche e centrale per gli equilibri politici nel mar Mediterraneo. La libertà e la democrazia promesse dopo la caduta di Gheddafi sono un miraggio.

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