In cosa consiste
Il 21 luglio il Consiglio Europeo ha trovato l’accordo sul Next Generation EU, il fondo nato per sostenere le economie dei paesi europei che più sono stati colpiti dal COVID-19.
Il fondo prevede €750 miliardi di aiuti divisi tra €390 miliardi in sovvenzioni e €360 in prestiti.
La differenza tra le due forme di erogazione sta nella restituzione della somma: le sovvenzioni sono dei sussidi a fondo perduto che non dovranno essere restituiti dai paesi che li ricevono. Al contrario, i prestiti andranno ripagati dagli Stati beneficiari.
La proporzione tra sovvenzioni e prestiti è stato a lungo discussa dai vari paesi europei, con Francia, Germania e Italia che insistevano per una maggiore componente di sovvenzioni, e i cosiddetti paesi frugali – Olanda, Svezia, Austria e Danimarca – che spingevano per una maggiore percentuale erogata sotto forma di prestiti.
Frugal four e rebates
Proprio i quattro frugali, guidati dal premier olandese Mark Rutte, hanno rappresentato un grosso ostacolo durante i negoziati del Consiglio europeo, per via della loro contrarietà a donare somme a fondo perduto ai paesi mediterranei.
Un importante strumento per convincere i frugali in fase di negoziazione è stato l’uso dei rebates. Essi sono un meccanismo di sconti sul contributo che ogni paese deve versare al budget europeo: i Paesi che contribuiscono di più al versamento di questi contributi in proporzione alla propria economia hanno infatti diritto a degli “sconti”, che permettono loro di risparmiare risorse da destinare ad altri scopi. I rebates furono introdotti nel 1984 su richiesta di Margaret Thatcher e sembravano destinati a scomparire in seguito alla Brexit. Sono invece stati decisivi durante le negoziazioni per convincere i frugali ad accettare l’accordo, con i quattro paesi più la Germania che riceveranno sostanziali sconti. La cifra finale in sovvenzioni di €390 miliardi è infatti decisamente inferiore rispetto ai €500 miliardi inizialmente richiesti da Francia, Germania e Italia.
Debito comunitario
Il Recovery Fund costituisce un passo fondamentale per il processo di integrazione europea. Infatti i €750 miliardi del fondo saranno reperiti per la prima volta nella storia dell’Unione tramite l’emissione di debito garantito a livello comunitario, ossia gli eurobond. Questo vuol dire che il debito non sarà contratto dai governi dei singoli stati, bensì dalla Commissione Europea stessa: il tasso di interesse applicato ai titoli di debito emessi sarà quindi molto più basso rispetto a quello che verrebbe richiesto se il debito fosse contratto singolarmente da paesi economicamente instabili, Italia in primis. I fondi saranno distribuiti tra il 2021 e il 2023 mentre il debito verrà ripagato agli acquirenti dei titoli dal 2028 fino al 2058.
Come verranno distribuiti i soldi?
I criteri per la distribuzione del Fondo comprendono la popolazione dello Stato richiedente, il PIL pro capite, fino al 2022 il tasso medio di disoccupazione fra 2015 e 2019. Questo criterio verrà poi sostituito con la riduzione percentuale del PIL nazionale dovuta alla pandemia tra 2020 e 2021. In base a questi criteri l’Italia dovrebbe essere il maggiore ricevente del fondo, con circa €80 miliardi in sussidi e €120 miliardi in prestiti.
Tuttavia, per ricevere i fondi i singoli Stati dovranno presentare un piano di riforme che dovrà essere approvato dalla Commissione Europea e dal Consiglio Europeo a maggioranza qualificata. Ma non solo: è stata aggiunta la possibilità per il Comitato economico e finanziario di applicare un “freno di emergenza” qualora il piano di stanziamento dei fondi proposto da un Paese non sia abbastanza convincente: in tal caso, il programma proposto dovrà essere esaminato più attentamente dal Consiglio europeo, e nel frattempo tutti i versamenti verranno sospesi. Si tratta di un meccanismo di controllo volto a garantire la massima attenzione verso i piani di riforma proposti dal paesi che riceveranno i soldi europei, in modo che nessuno possa usarli impropriamente (principale preoccupazione dei paesi frugali).
Dopo lo stanziamento, i paesi riceventi saranno valutati sui risultati della spesa e dovranno raggiungere degli step intermedi del piano di riforme.
Una situazione piuttosto controversa riguarda invece il rispetto dello “stato di diritto” (ossia dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo), che non costituirà un vincolo per l’ottenimento dei fondi. Questo significa che Paesi come Ungheria e Polonia, che nell’ultimo periodo stanno introducendo sempre più leggi che limitano le libertà dei cittadini e non rispettano i valori fondanti dell’Unione europea, potranno richiedere ugualmente i fondi europei. Il blocco dei finanziamenti verso i paesi incriminati potrà essere sollevato solo con una maggioranza qualificata.
Prossimi passi
L’accordo dovrà essere ratificato a livello nazionale dai Parlamenti dei singoli Stati per via della nuova clausola di indebitamento della Commissione e approvato dal Parlamento europeo.
I fondi erogati serviranno a finanziare progetti nei paesi che più hanno sofferto del COVID-19 per rilanciarne l’economia. Essi dovrebbero includere ristrutturazioni, modernizzazioni, bandi per l’innovazione, progetti di ricerca e tanto altro. L’Italia ha sicuramente raggiunto un importante traguardo durante le negoziazioni, riuscendo a ottenere dall’Europa più di 200 miliardi di euro, ma la vera prova arriverà dopo. Nell’allocare queste risorse preziose, dovrà infatti dimostrare di saper selezionare con lungimiranza le priorità del Paese, scegliendo su quali settori e su quali misure economiche investire per far ripartire l’economia.
Fonti e approfondimenti
Accordo sul Recovery Fund: 390 miliardi di sussidi e 360 di prestiti. Prima volta debito in comune. Italia, uso dei fondi sotto la lente, Beda Romano, Il Sole 24 Ore, 21 luglio 2020
EU leaders strike deal on €750bn recovery fund after marathon summit, Financial Times
Com’è andato il Consiglio europeo, quindi, Il Post, 21 luglio 2020
I pilastri di Next Generation EU, Commissione europea,