Il problema dei braccianti e i prezzi al supermercato

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Avrete sicuramente notato che nelle ultime settimane alcuni prezzi sono aumentati, soprattutto quelli della frutta e verdura fresca. Ma vi siete chiesti perché?

 

Cosa sta succedendo

 

In Italia ci sono più di 220.000 aziende agricole che impiegano circa 1 milione e 200.000 lavoratori, di questi 1 milione e 500.000 sono stagionali e fra questi più di 300.000 sono stranieri provenienti dall’Europa dell’Est e dal Nord Africa. Una parte di loro si trova ora bloccata nel Paese d’origine, mentre gli altri, di cui la maggior parte senza permesso di soggiorno, sono fermi nei campi da inizio marzo, ossia dall’approvazione dello stato di allerta. La mancanza di manodopera ha costretto molte aziende a buttare parte del proprio raccolto, vendendone quindi la restante a prezzi molto più alti. Per alcuni prodotti agricoli si è registrato un rincaro addirittura del 40%.

 

Questa situazione ha riportato l’attenzione su due aspetti: i mancati diritti degli stranieri irregolari e il ruolo della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) nel mercato.

 

In Italia gli irregolari sono circa 600.000, di cui un terzo sono impiegati nell’agricoltura mentre i restanti lavorano come rider, colf, badanti e babysitter, occupando un ruolo di rilievo in tante famiglie.

 

I Paesi del Sud Europa (Spagna e Italia in primis) sono tra i principali produttori ortofrutticoli grazie ad un clima favorevole alle diverse coltivazioni. Il lavoro in questo settore non richiede una particolare formazione, è flessibile in termini stagionali ma è molto pesante a causa delle condizioni di lavoro e degli alloggi nei campi.

 

I braccianti spesso non hanno un contratto, stringono semplicemente un accordo verbale con il caporale, sono pagati a cottimo, con turni di lavoro spossanti, senza orario fisso né pause. Il più delle volte si trovano a vivere in condizioni disumane in veri e propri ghetti (ex fabbriche dismesse o masserie abbandonate senza acqua e servizi igienici), isolati dal centro abitato. Gli abusi e lo sfruttamento quotidiani portano tanti braccianti all’assunzione di droghe o addirittura al suicidio.

 

Per queste ragioni, accanto a tanti italiani, gli immigrati del Nord Africa e dell’Europa dell’Est sono fra i pochi ad essere disponibili a lavorare in questo settore. Negli anni la mancanza di legalizzazione della manodopera straniera e lo sfruttamento dei lavoratori agricoli hanno creato un sistema che da Nord a Sud è diventato la base di un contesto illegale in cui i braccianti vivono in condizioni precarie.

 

La corsa al prezzo più basso

 

Come mai i braccianti vengono pagati così poco? Le cause sono da ritrovare nei modelli di consumo che si sono imposti negli ultimi anni: nei grandi supermercati siamo sempre più abituati a ricercare l’offerta al ribasso, a discapito della qualità. Per questo l’obiettivo della Grande Distribuzione Organizzata (formata da tutti i grandi supermercati che conosciamo) è proprio quello di vendere il cibo al prezzo più basso possibile: i fornitori e di conseguenza gli imprenditori agricoli sono costretti ad adattarsi alle condizioni del mercato. Considerando che in Italia la GDO occupa il 70% del mercato, i fornitori che non riescono ad assicurarsi la vendita dei propri prodotti ai grandi marchi vengono esclusi dal mercato.

 

La GDO stabilisce i prezzi delle materie prime attraverso delle aste telematiche che si svolgono prima dell’inizio della raccolta, dove i fornitori si vedono costretti a vendere il loro prodotto al valore più basso possibile per aggiudicarsi uno sbocco sul mercato. Le conseguenze di questo meccanismo si ripercuotono poi su tutta la filiera produttiva. Per ricavare un margine di guadagno nonostante i prezzi così bassi, sia i fornitori che gli imprenditori agricoli sfruttano la vulnerabilità dei braccianti, soprattutto nel caso degli stranieri senza permesso di soggiorno.

 

Che soluzione adotterà l’Italia ?

 

Al momento il governo sta discutendo la bozza di un decreto legge che prevede la regolarizzazione per circa un anno di circa 200.000 stranieri già presenti nel nostro Paese da assumere “nei settori dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca e dell’acquacoltura” e la ministra dell’agricoltura Bellanova sta lavorando con i Paesi dell’Est Europa nella creazione di corridoi verdi al fine di recuperare manodopera esperta, una misura che trova l’appoggio di Confagricoltura.

 

Confagricoltura e Coldiretti sono stati proprio tra i primi a muoversi per ridurre i danni del settore agricolo e il successivo aumento dei prezzi dei freschi, creando delle piattaforme online, Agrijob e Jobincountry, appoggiate dal ministero del lavoro, in cui le aziende agricole offrono il lavoro e le persone interessate si candidano caricando il proprio curriculum. Nella fase sperimentale in Veneto hanno aderito più di 1500 persone, di cui il 60% giovani fra i 20 e i 30 anni, la maggior parte proveniente dai settori del turismo e della ristorazione. Come la stessa Coldiretti sottolinea, un’iniziativa simile è stata fatta anche in Francia ma l’esito non è stato molto incoraggiante: anche se la raccolta non richiede una particolare formazione, tuttavia necessita di conoscenze ed esperienze minime.

Il Portogallo, invece, ha scelto di regolarizzare fino al primo luglio i richiedenti asilo e gli stranieri senza permesso di soggiorno per poter limitare i contagi e garantire l’assistenza sanitaria a tutti mentre la Germania ha approvato l’ingresso, solo in gruppo e in aereo, di 80000 lavoratori stranieri che dovranno osservare un isolamento di 14 giorni prima di unirsi al resto degli addetti.

 

Il tema è senza dubbio scottante e da subito è stato oggetto di scontro.

 

Il leader della Lega Matteo Salvini il 18 aprile su Twitter si schierava contro la regolarizzazione e a favore dell’assunzione temporanea di studenti, cassaintegrati e pensionati italiani, attraverso le piattaforme di Coldiretti e Confagricoltura, pagati in voucher.

Una misura, questa, che ha incontrato da subito il “no” dei sindacati in quanto renderebbe ancora più precario il lavoro degli addetti agricoli.

Inoltre, se questa soluzione può essere utile in una prima fase emergenziale, Confagricoltura sottolinea “l’urgenza di trovare una soluzione normativa alla questione manodopera“ mentre Coldiretti ricorda l’importanza che il lavoro nei campi venga fatto da chi ne possiede una esperienza pregressa.

Il sindacalista ed ex bracciante Aboubakar Soumahoro, che sta documentando la situazione attuale dei ghetti del Sud Italia attraverso i suoi canali social, da anni si sta battendo per la legalizzazione di tutti gli irregolari presenti in Italia. Ma non è il solo, a lui si uniscono la comunità di Sant’Egidio, la Caritas, l’associazione Federconsumatori e altre associazioni cattoliche e laiche, tanto per ragioni umanitarie che di sanità pubblica. Suo è il lancio della raccolta fondi Portiamo il cibo a tavola ma abbiamo fame, appoggiata fra i tanti da Roberto Saviano, Jovanotti e dal sindaco di Milano Giuseppe Sala, al fine di distribuire cibo e protezioni sanitarie ai tanti irregolari isolati nei campi.

 

In ogni caso, se la regolarizzazione aiuterà quantomeno a vedere riconosciuti i diritti di un terzo dei lavoratori irregolari presenti in Italia, dall’altra non elimina la mancanza di organizzazione e di investimenti del settore agroalimentare (l’assenza di strutture di alloggio adeguate sta portando molti braccianti italiani e stranieri regolari a rifiutare offerte di lavoro) e non tutela il resto dei lavoratori stranieri irregolari come badanti, colf e rider.

 

Legalizzare il lavoro dei migranti irregolari non è solo una questione umanitaria ma di sanità pubblica. Queste persone ora più che mai si ritrovano a non potersi rivolgere a un medico e a non godere di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, rendendole prigioniere dell’economia sommersa.

 

E voi, vi siete mai chiesti da dove viene il cibo che comprate?

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