Il Mar Cinese Meridionale: il fronte dello scontro Cina-USA

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Nelle scorse settimane, le forze della marina ed aeronautica degli Stati Uniti hanno iniziato a svolgere intense attivitànei pressi del Mar Cinese Meridionale.

Per la terza volta dall’inizio di quest’anno, infatti, la portaerei Ronald Reagan, assieme a un grosso contingente di altre navi da guerra, è tornata a solcare queste acque, conducendo anche diverse esercitazioni militari.

Queste azioni da parte degli americani continuano a innervosire, e non poco, i vertici di Pechino, che vedono negli Usa un ostacolo al loro progetto di annessione di questa zona particolarmente strategica.

Il dragone, infatti, ha iniziato a costruire una serie di isole artificiali con l’obiettivo di assicurarsi il completo controllo dell’area, considerata fondamentale per la propria sicurezza e per la realizzazione di un’egemonia cinese.

Ma cosa rende il Mar Cinese Meridionale così importante per le ambizioni di Pechino?

 

L’importanza del Mar Cinese Meridionale

Il Mar Cinese Meridionale è uno specchio d’acqua minore del Mar Cinese Orientale, su cui si affacciano, oltre alla Cina, diversi altri Paesi tra cui le Filippine, la Malesia, l’Indonesia, il Vietnam e Taiwan.

L’importanza geopolitica di queste acque è fondamentale, basti pensare che più del 30% dell’intero commerciomondiale e circa l’90% delle importazioni cinesi di greggio transitano per il Mar Cinese Meridionale.

Il suo fondale, inoltre, è incredibilmente ricco di risorse energetiche: si stima vi siano più di 11 miliardi di barili di greggio e oltre 5 mila miliardi di metri cubi di gas naturale (fonte CSIS), senza dimenticare la presenza nelle acque sovrastanti del 12% dell’intero pescato mondiale (fonte CSIS, 2015).

Inoltre, impadronirsi di questa zona di mare consentirebbe a Pechino di poter controllare le tratte marittime fondamentali per la propria economia, in quanto rappresentano la principale e più rapida via per le merci cinesi dirette verso l’Oceano Indiano ed i mercati europei.

 

Rivendicazioni contrastanti

Fra gli Stati costieri del Mar Cinese Meridionale si contano numerose rivendicazioni marittime, spesso sovrapposte e in netta contraddizione fra di loro.

Filippine, Malesia, Indonesia e Vietnam basano le proprie pretese sulla United Nations Conventions on the Law of the Sea(UNCLOS), in cui è stabilito che le Zone Economiche Esclusive (Zee) si estendono fino a 200 miglia nautiche dalla costa del Paese. All’interno di questa zona lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di esplorazione e sfruttamento delle risorse presenti nelle acque, nel suolo e sottosuolo marino.

Le acque che invece non fanno parte di nessuna Zee di un Paese, sono definite acque internazionali dalla UNCLOS. In queste vige il principio di libertà di navigazione, di sorvolo e di pesca.

 

L’origine delle ambizioni cinesi

Pechino reclama circa l’80% delle acque del Mar Cinese Meridionale – compresi atolli e arcipelaghi – sulla base di un documento ambiguo e a cui non viene riconosciuto valore legale.

Mappa del Mar Cinese Meridionale. In rosso le rivendicazioni cinesi. In blu i confini delle varie Zone Economiche Esclusive [Crediti foto:Wikimedia Commons/CC BY-SA 4.0]

 

Si tratta della cosiddetta “Nine-dash line map”, un mappa resa pubblica per la prima volta dall’allora Repubblica di Cina nel 1947, poi rivista e modificata negli anni successivi dalla Repubblica Popolare Cinese (l’attuale Cina comunista).

In questa mappa una lunga linea tratteggiata attraversa il Mar Cinese Meridionale, a rappresentare l’ampiezza dei possedimenti marittimi cinesi, così come sono intesi da Pechino.

La Cina solleva queste rivendicazioni in virtù del proprio storico legame con queste acque e i suoi arcipelaghi, facendo leva anche sulla scarsa chiarezza con cui i confini marittimi sono stati delimitati in passato.

Infatti, sia i trattati firmati a fine Ottocento con la Francia coloniale – che possedeva il vicino Vietnam – sia gli accordisottoscritti con Regno Unito, Usa e Urss durante il secondo conflitto mondiale – nei quali si ridisegnavano i confini della regione alla luce dell’imminente sconfitta del Giappone – omettono o non rendono chiari quali sarebbero stati i Paesi ad avere sovranità sugli arcipelaghi qui presenti.

A fare, almeno in parte, chiarezza sulla questione è intervenuta la Corte Permanente di Arbitrato dell’Aia nel 2016. La Corte, esprimendosi nel merito di un caso sollevato dal governo delle Filippine contro la Cina, ha emesso un’importante sentenza nella quale ha escluso che Pechino possa vantare alcun diritto sulla base della “Nine-dash line map”.

Questa decisione tuttavia non sembra aver frenato le ambizioni di Pechino, che ha subito respinto il verdetto della Corte, e sembra essere intenzionata a prendere possesso di ciò che reclama con ben altri mezzi.

Due su tutti sono quelli che hanno fatto più scalpore negli ultimi anni.

Nel tentativo di ottenere il controllo degli arcipelaghi dell’area, Pechino ha cominciato a pompare tonnellate di sabbia sugli atolli affioranti, realizzando delle vere e proprie isole artificiali sulle quali ha poi costruito porti, aeroporti e basi militari, muniti di sistemi difensivi avanzati.

Panganiban Reef”, un atollo nel Mar Cinese Meridionale con installazioni militari cinesi [crediti foto:Tony Peters/CC BY 2.0]

Affianco a ciò si aggiungono le ripetute azioni paramilitari condotte spesso da pescherecci, piccole imbarcazioni e navi della Guardia Costiera Cinese, volte ad intimidire ed allontanare le imbarcazioni degli Stati vicini ed impedirne l’accesso ed il transito nell’area.

 

La risposta americana

Le azioni cinesi non sono passate inosservate dall’altro lato del Pacifico. Washington – che da tempo percepisce Pechino sempre più come un attore sfidante della propria egemonia globale – è ben consapevole del valore strategico di questo braccio di mare e dei suoi arcipelaghi, non solo per le risorse e le rotte marittime, ma anche – e soprattutto – per il contenimento delle ambizioni cinesi.

Gli Stati Uniti, da sempre nei panni di paladini della libertà di navigazione, rifiutano fermamente ogni rivendicazione della Cina nel Mare Cinese Meridionale, etichettando le sue azioni nell’area come “campagne di bullismo” contro i paesi limitrofi.

 

Il ruolo delle isole nel contenimento della Cina

Sin dai primi anni della Guerra Fredda – e con la nascita della Cina comunista nel 1949 – gli Stati Uniti hanno attuato una strategia di forte contenimento nei confronti dei due colossi comunisti asiatici.

Nell’ambito di tale strategia, fortemente improntata sull’uso della forza navale, un ruolo di primo piano era rivestito dalla cosiddetta “Prima Catene di Isole”, ossia quella lunga catena di isole in prossimità delle coste cinesi, che ne cingono i mari rivieraschi, ed il cui controllo da parte americana rappresenta un potenziale ostacolo per l’accesso dellaCina all’Oceano Pacifico ed al controllo delle proprie rotte marittime.

Questa catena è rappresentata dalla linea di isole che partono dall’arcipelago giapponese, passando per Taiwan e le Filippine, arrivando fino agli arcipelaghi del Mar Cinese Meridionale.

A distanza di tre decenni dalla fine della Guerra Fredda, tutte queste isole – ad eccezione delle isole contese – sono ancora oggi controllate da paesi filo-americani, che ospitano basi militari statunitensi e sono legati agli USA con trattati di difesa.

Oltre gli imperativi del contenimento strategico, Washington ha un forte interesse a limitare l’escalation delle tensioni nell’area, dato che in virtù di suddetti trattati di sicurezza, gli USA sarebbero chiamati ad intervenire in difesa dei propri alleati asiatici nel caso di un’aggressione cinese.

La posizione degli Stati Uniti è dunque molto delicata, incastrata tra l’obiettivo strategico di contenere la minaccia cinese, ed il timore che le tensioni nell’area risultino in un conflitto aperto, nel quale verrebbero inevitabilmente trascinati.

 

Un futuro incerto all’orizzonte

Il Mar Cinese Meridionale è oramai divenuto uno dei fronti più caldi delle tensioni sino-americane. Ad inasprire ulteriormente il quadro è intervenuto il montante sentimento nazionalista cinese – sospinto dall’attuale leader Xi Jinping– che mira cancellare il “secolo della vergogna”, vissuto sotto il tacco delle potenze coloniali esterne tra metà 800 e metà 900, ed innalzare la Cina al ruolo centrale che le spetterebbe sulla scena globale.

In quest’ottica la disputa si traduce in un pericoloso gioco a somma zero, che non lascia ai due attori alcuno spazio per la cooperazione e li incastra in uno scenario in cui ogni guadagno dell’avversario equivale ad una perdita per sé, e viceversa.

Il futuro dei popoli della regione – e non solo – sembra rimanere dunque appeso al destino di questo turbolento braccio di mare e delle sabbie dei suoi atolli: fatalmente capitati come posta in gioco nello scontro geopolitico tra superpotenze.

 

A cura di Leonardo Trento e Davide Umberto Giovanardi per Orizzonti Politici

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