Gli anni del boom

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Saprà l’Italia rialzarsi dalla crisi economica post pandemia? Ci auguriamo tutti di sì. Per riprenderci servirebbe davvero un nuovo miracolo economico, paragonabile a quello di sessanta anni fa. Aspettando con fiducia il momento della rinascita, e sperando che sia di buon augurio, andiamo a scoprire cosa successe nel nostro Paese quando scoppiò il boom.

 

I numeri della crescita

 

Gli anni del boom furono quelli tra il 1958 e il 1963. In quel breve periodo la Penisola crebbe a ritmi che oggi si definirebbero cinesi. Venne sancito il definitivo passaggio dell’Italia da paese povero, essenzialmente agricolo, asfissiato da politiche protezionistiche, a potenza industriale mondiale, aperta ai mercati internazionali, con una forte vocazione alle esportazioni e una propensione al consumo che non aveva mai conosciuto prima. Un formidabile balzo nella modernità nel giro di pochi anni.

 

In realtà il boom fu il momento conclusivo e più esplosivo di una fase di crescita iniziata sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale e che poi, in modo sempre più tumultuoso, continuò fino agli inizi dei Sessanta.

Qualche numero ci aiuta a capire le dimensioni di questi cambiamenti epocali.

 

Tra il 1951 e il 1963 il prodotto interno lordo (Pil) aumentò in media del 5,9% annuo (con un picco dell’8,3% nel 1961). Nel medesimo lasso di tempo, il reddito nazionale lordo italiano passò da 14.900 a 31.261 miliardi di lire, e il reddito pro-capite da 305.800 lire del 1952 a 507.200 del 1961. Crescevano anche i consumi privati, da 10.380 miliardi a 20.500 miliardi nel 1963, segno che in poco più di un decennio gli italiani avevano raddoppiato la spesa.

La produzione industriale, trainata inizialmente dall’industria metalmeccanica e dal settore petrolchimico, tra il 1951 e il 1963 raddoppiò e nel solo triennio 1957-1960, registrò un incremento medio del 31,4%.

 

Per le esportazioni si verificò, tra il 1951 e il 1963, una crescita annua del 12%, inferiore solo a quello della Germania Ovest. Mutò anche il tipo di merci esportate: i tradizionali prodotti tessili e alimentari lasciarono il passo a quelli del settore chimico, meccanico e metallurgico.

I lavoratori occupati nel settore industriale passarono dal 32 al 40%, mentre quelli impegnati nell’agricoltura scendevano dal 40 al 25%.

 

L’Italia divenne leader europeo nel settore dei beni di consumo durevoli, a cominciare dagli elettrodomestici: nel 1951 furono prodotti 18.500 frigoriferi, nel 1957 la cifra era di 370.000 e nel 1967 di ben 3.200.000.

Si sviluppò anche il settore delle materie plastiche, quello della meccanica di precisione e delle fibre tessili artificiali.

 

Il marchio simbolo del miracolo economico italiano fu però la Fiat, che si specializzò nella produzione di utilitarie a prezzi contenuti che divennero il sogno di milioni di italiani.

L’industria a quattro ruote nel suo complesso, considerando anche Alfa Romeo, Lancia, Innocenti, conobbe un’ascesa vertiginosa, passando dalle 100.000 vetture prodotte nel 1950 alle 230.000 del 1958, sino a superare il milione nel 1963. La produzione automobilistica divenne così, con il suo indotto, un importante fattore propulsivo per l’intera economia.

 

Altra protagonista del boom fu la RAI, nata nel 1954, che divenne artefice dell’unificazione linguistica degli italiani (la grande maggioranza si esprimeva ancora in dialetto), e attraverso le sue seguitissime trasmissioni diffondeva nuovi stili di vita e di consumo (le pubblicità di Carosello).

 

Le ragioni del boom

 

Diversi fattori contribuirono all’eccezionale sviluppo dell’Italia. Prima di tutto la possibilità di utilizzare un’abbondante mano d’opera a buon mercato, tenendo conto che tra il 1953 e il 1961 ad un incremento della produzione pari all’84% corrispose un aumento dei salari del 46,9%.

Il contenimento dei salari consentì all’industria (soprattutto dei settori metallurgico, meccanico, automobilistico e chimico) di produrre a prezzi concorrenziali, incrementare le esportazioni e conquistare molti mercati.

 

La forte crescita della domanda europea, frutto di una favorevole congiuntura internazionale, è infatti un altro motivo all’origine del boom italiano. Dopo la guerra iniziò un ciclo economico positivo e il ventennio 1950-70 rappresentò un periodo d’oro per il commercio internazionale favorito anche dal processo di liberalizzazione degli scambi e dall’avvio del Mercato comune europeo. Questo sviluppo premiò soprattutto i Paesi dell’Europa occidentale, dove la media di crescita del Pil fu del 5,5%.

 

L’Italia seppe inserirsi all’interno di questo trend positivo, abbandonando la sua tradizionale politica protezionistica e avviando un generale ammodernamento che rivitalizzò il suo il sistema produttivo, rendendolo efficiente e molto competitivo.

 

Al successo del made in Italy contribuì anche lo sviluppo dell’industria siderurgica, sotto l’egida dell’IRI (società pubblica), che permise di fornire alla rinata industria italiana acciaio a prezzi sempre più bassi per costruire auto, scooter, elettrodomestici e macchinari di ogni genere.

Un ruolo altrettanto importante ebbe l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), altra grande industria pubblica, che sotto la guida coraggiosa di Enrico Mattei assicurò un costante approvvigionamento energetico a buon mercato, anche grazie alla scoperta del metano e degli idrocarburi in Val Padana. Va sottolineato, ancora, il contributo di tanti imprenditori di ingegno, piccoli e grandi, che con le loro aziende furono gli artefici della ricostruzione e i pionieri dello sviluppo economico.

Lo stato assecondò l’iniziativa privata e il fiorire di nuove attività. La crescita si sviluppò quindi in modo spontaneo e seguendo le logiche del mercato, senza una programmazione politica per favorire una crescita equilibrata, sia delle varie regioni sia dei consumi. Per questo il processo di espansione portò con sé gravi squilibri sul piano sociale.

 

La spinta produttiva, orientata all’esportazione, si concentrò sui beni di consumo privati, ed ebbe come conseguenza una diffusa disattenzione ai beni pubblici. La costruzione di scuole, ospedali, case e trasporti (fatta eccezione per le reti autostradali), tutti beni di prima necessità, segnò il passo rispetto a quanto si faceva in altri Paesi europei, generando squilibri strutturali che paghiamo ancora oggi.

 

Nonostante limiti e distorsioni, non possiamo però che condividere le parole del sociologo Luca Ricolfi, secondo il quale il miracolo economico sancisce “l’uscita delle masse popolari dalla povertà, grazie all’accesso a beni e servizi per così dire basici (dal cibo all’acqua potabile), e la conquista da parte di una minoranza degli italiani dei primi segni tangibili del benessere, come elettrodomestici, automobile, vacanze”.

 
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