Come ben sappiamo, gli ospedali sono impegnati nella lotta al Covid-19 e hanno dovuto limitare al massimo gli accessi in struttura e in alcuni casi trasferire, o addirittura sospendere, il servizio di IVG (interruzione volontaria di gravidanza) perché ritenuto una procedura non essenziale in tempi di emergenza. La crisi sanitaria ha lasciato spazio d’azione ad alcuni Stati che stanno approfittando della situazione per applicare restrizioni o rendere illegale la pratica dell’aborto.
In Polonia
Uno degli esempi più eclatanti di questo fenomeno è la Polonia, che ha votato una proposta di legge per rendere illegale l’interruzione di gravidanza in caso di malformazioni e malattie genetiche del feto, mantenendo però la possibilità di abortire nel caso in cui la gravidanza metta a rischio la vita della madre, in caso di stupro o incesto. Questa proposta di legge era già stata presentata nel 2016 ma fu respinta a causa di forti proteste e mobilitazioni di gruppi femministi.
Insieme a quello sull’aborto, in aula si è discusso anche un disegno di legge che rende illegale l’insegnamento di educazione sessuale agli adolescenti.
Nonostante l’impossibilità di mobilitazioni di massa, le donne polacche stanno ugualmente cercando di fare sentire la loro voce tramite un intenso utilizzo dei social network e sono alla ricerca di metodi alternativi per manifestare e sensibilizzare su questa problematica, pur rispettando le regole di distanziamento sociale.
Al momento, la cosiddetta proposta di legge “Stop all’aborto” è stata temporaneamente rinviata in commissione per alcuni approfondimenti.
Negli Stati Uniti
Anche negli Stati Uniti ci sono stati tentativi di ridurre l’accesso alla procedura di aborto. In particolare gli Stati di Texas, Ohio, Iowa, Alabama, Oklahoma, Arkansas e Tennessee hanno dichiarato “non essenziali” tutti i servizi legati all’interruzione volontaria di gravidanza, imponendo di posticipare gli interventi già programmati per queste settimane.
L’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) e altre importanti organizzazioni professionali mediche hanno rilasciato una dichiarazione che definisce l’aborto come una procedura che richiede di agire entro determinate tempistiche e che un ritardo di diverse settimane, o in alcuni casi giorni, può aumentare i rischi o renderlo potenzialmente inaccessibile. L’Organizzazione mondiale della sanità classifica l’aborto come “essenziale” per i diritti e la salute delle donne.
In risposta alle restrizioni del Texas, Planned Parenthood insieme ad altre cliniche per il controllo delle nascite in Texas, hanno fatto appello alla Corte Suprema per impedire l’applicazione di questo divieto su tutti gli aborti considerati non urgenti mentre la pandemia di Covid-19 continua. In particolar modo, è stata contestata l’interpretazione generale dell’ordine esecutivo che impone di sospendere tutti i servizi di interruzione della gravidanza, imponendo sanzioni penali ai medici inadempienti. Si è protestato anche contro all’adozione da parte del Texas Medical Board di una norma di emergenza che in alcuni casi prevede la sospensione o la limitazione della licenza di un medico come sanzione per inadempienza. Sebbene le leggi siano state contestate con successo presso la Corte Suprema, molte delle cliniche non sono state in grado di riaprire.
In Alabama, Ohio, Oklahoma e Tennessee, gli ordini restrittivi temporanei concessi dai tribunali distrettuali federali hanno consentito alle cliniche di fornire servizi di aborto. Il 12 aprile, il tribunale distrettuale federale in Alabama ha emesso un’ingiunzione preliminare che consente ai fornitori di determinare caso per caso se è necessario un aborto per evitare ulteriori rischi, spese o barriere legali. La sesta Corte d’Appello distrettuale ha negato la richiesta dell’Ohio di modificare gli ordini restrittivi temporanei permettendo ai servizi di aborto di continuare. Il 13 aprile, la decima Corte d’Appello del Circuito ha respinto l’appello dell’Oklahoma permettendo, anche in questo caso, ai servizi di aborto di continuare. Il 17 aprile, un tribunale distrettuale federale ha bloccato l’ordine del Tennessee di sospendere gli aborti, consentendo alle cliniche di riprendere le procedure. In Iowa, i funzionari statali e l’American Civil Liberties Union (ACLU) hanno deciso in via stragiudiziale che i servizi di aborto potevano continuare.
Le conseguenze
Le restrizioni agli aborti spingono spesso le donne in gravidanza a perseguire alternative pericolose che possono avere conseguenze negative sulla loro salute. Gli aborti tardivi sono poi più pericolosi, e necessitano poi di medici formati appositamente per fornire la procedura, che sono più difficili da trovare. Questo tipo di limitazioni avrà un impatto significativo sui pazienti a basso reddito che hanno tassi più elevati di gravidanza non intenzionale.
Come sta andando in Italia
In Italia l’aborto è regolamentato dalla legge n°194 del 22 maggio 1978 che ha abrogato i precedenti articoli 545 e 555 del codice penale che classificavano come reato la pratica dell’aborto. Ad oggi, in Italia è possibile sottoporsi all’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.
Purtroppo l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha posto qualche difficoltà anche per le donne italiane che in questi giorni hanno necessità di assistenza sanitaria per ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Infatti, in mancanza di linee guida nazionali, tantissimi ospedali in tutta Italia hanno rinviato le operazioni chirurgiche non strettamente indispensabili e le attività ambulatoriali non urgenti. Moltissime donne italiane hanno riscontrato grandi difficoltà nella ricerca di un ospedale che potesse assisterle entro tempi utili per la procedura. È sorto, quindi, il rischio di un crescente ricorso a procedure clandestine per l’IVG.
Una soluzione a questa problematica potrebbe essere l’aborto farmacologico, cioè tramite pillola abortiva. Tuttavia, anche questa pratica è stata interrotta poiché prevede, nella maggior parte dei casi, tre giorni di ricovero in ospedale e diverse visite a seguito della procedura.
L’Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto (AMICA), la Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194/78 (LAIGA), Pro-Choie e Vita di Donna hanno richiamato l’attenzione del Ministero della Salute su questa delicata tematica e hanno scritto una lettera in cui chiedono misure per garantire le IVG. Nella lettera, in particolare, si evidenzia la necessità di allungare le tempistiche per il ricorso alla procedura farmacologica da 7 a 9 settimane (come già accade negli altri paesi europei) e di eliminare i ricoveri in modo da limitare gli accessi in ospedale.
Nel frattempo alcune associazioni italiane, quali ProVita e Famiglia, hanno avviato una petizione online indirizzata al Ministero della Salute per chiedere la sospensione dell’aborto negli ospedali, in quanto considerata operazione chirurgica non indispensabile.
Possibili soluzioni
Come accade già in Gran Bretagna, è stato proposto di mettere in pratica l’aborto tramite telemedicina. In base a questa politica, le donne nel Regno Unito possono assumere entrambi i farmaci necessari per l’aborto medico a casa durante le prime 10 settimane di gravidanza a seguito di una visita medica telefonica o elettronica, invece di assumere la prima dose in una struttura sanitaria.