A inizio emergenza l’attenzione si è focalizzata specialmente sul fronte ospedaliero e sul recuperare, dopo anni di tagli alla sanità, posti letto in terapia intensiva. Nel farlo, si è sottovalutata una priorità che ora è quasi assoluta: la possibilità che le RSA divenissero focolai di contagio, essendo popolate dalle persone più fragili della popolazione.
Ma andiamo con ordine: dopo il primo decreto dell’8 marzo, tutte le strutture sono state chiuse alle visite esterne. Purtroppo, in molti casi, questa misura è arrivata troppo tardi: il virus era già stato portato all’interno dai visitatori o dagli operatori dei diversi dipartimenti, contagiando quindi non solo i pazienti ma anche il personale della struttura.
Nei giorni seguenti, l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera ha emanato una delibera che richiedeva alle ATS (Agenzie di Tutela della Salute – quelle che in alcune regioni sono chiamate “ASL”) di scoprire quali RSA potessero farsi carico dei pazienti Covid-19 meno gravi, in modo da liberare posti letto in ospedale. In quei giorni circa 141 pazienti sono stati distribuiti tra le 15 strutture che hanno aderito all’iniziativa.
Ma non solo: è stato scelto come centro di smistamento dei pazienti malati il Pio Albergo Trivulzio, uno dei più famosi centri di assistenza sanitaria per anziani a Milano. Ancora non si sapeva, ma il virus si era già diffuso all’interno della struttura.
Gli scandali del Pio Trivulzio
Non è la prima volta che uno scandalo di dimensioni nazionali parte proprio da questa struttura sanitaria.
Era il 1992: Mario Chiesa, l’allora direttore della più grande RSA di Milano, riceve una tangente di 7 milioni di lire da Luca Magni, titolare di un’impresa di pulizie in gara per ottenere l’appalto della casa di cura milanese. Proprio da qui ha inizio Mani pulite (di cui avevamo parlato qui), il primo atto dello scandalo che più di tutti ha scosso la storia della nostra Repubblica: Tangentopoli.
28 anni dopo, l’attuale direttore del Pio Trivulzio, Giuseppe Calicchio, è indagato per epidemia colposa, a causa della morìa scaturita dalla malgestione e dalle tante omissioni legate all’epidemia di Covid-19.
Secondo molte testimonianze, all’interno del centro è stato vietato l’uso delle mascherine, nonostante fossero indispensabili, per non turbare i pazienti, e non è stato effettuato l’isolamento di chi risultava positivo al virus. Il risultato è che dall’inizio di marzo le morti nella struttura sono state 190, con un aumento del 30% rispetto allo scorso anno, ma di queste solo alcune sono state attribuite al Coronavirus. I morti, in quei giorni, sono stati tenuti nascosti, addirittura ammassati in delle stanze e avvolti in sacchetti di plastica.
A incastrare Calicchio c’è un audio di 12 minuti ottenuto da Repubblica, in cui gli infermieri si confrontano tra loro sulla situazione interna alla struttura; le informazioni acquisite tramite la registrazione sono a dir poco agghiaccianti: da pazienti morti non dichiarati, a cartelle cliniche manomesse e nascoste nelle archivi, per finire con la paura degli stessi infermieri che si trovano costretti a mentire sulla loro temperatura corporea. “Come faranno a censire le morti di questo mese?” chiede uno degli infermieri; gli altri, invece, si mostrano preoccupati per la loro salute, affermando che se dovessero fare i tamponi risulterebbero tutti positivi.
Le morti in tutta Italia
Solo a Milano, in queste settimane sono morte più di 700 persone nelle RSA. Ma lo stesso è accaduto in altre zone d’Italia: nella provincia di Bergamo si stima che, soltanto nel mese di marzo gli ospiti morti nelle strutture per anziani siano state più di 600.
L’Istituto Superiore di Sanità ha condotto un sondaggio su 1.082 strutture (coloro che hanno risposto all’inchiesta su un totale di 3.420 RSA). Il responso indica che dal primo febbraio al 14 aprile ci sono stati 6.773 decessi. Di questi, il 40% è riconducibile al Covid – 19.
Ma non solo: secondo un altro report dell’Iss, nel mese di Aprile il 44% dei contagi di Covid-19 in tutta Italia è avvenuto all’interno delle RSA.
In molti casi le indagini sono partite proprio dai parenti delle vittime, che per giorni non hanno avuto notizie credibili sulle condizioni di salute dei propri famigliari, per venire poi a conoscenza della loro morte senza neanche essere certi della causa.
Piemonte, Veneto, Toscana, Lazio… In tantissime regioni si sono ripetute le stesse identiche dinamiche. Le RSA sono un concentrato di pazienti ad alto rischio, e avrebbero dovuto essere le strutture più protette e controllate dell’intero Paese. Ma non è stato così: come è successo negli ospedali, anche in queste residenze non sono state fornite le protezioni necessarie agli operatori sanitari, che sono stati infettati e hanno diffuso il virus tra le centinaia di pazienti della struttura. Una volta creatosi il focolaio, non è possibile gestirlo con efficacia isolando tutti i positivi, perché i tamponi non vengono effettuati in maniera sistematica.
Chi pagherà le conseguenze di questa situazione? Moltissime indagini sono state aperte per capire a chi va attribuita la responsabilità della catena di decisioni sbagliate che sono state prese in queste settimane. Ranieri Guerra (direttore aggiunto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha definito la situazione delle RSA italiane un massacro a cui il governo deve rispondere, spiegando cosa è successo e come mai.