Dalla caduta del regime di Gheddafi nel 2011, la Libia sta attraversando una lunga fase di instabilità politica. La seconda guerra civile, iniziata nel 2014, ha creato un terreno fertile per numerose attività illecite come il traffico di petrolio, di armi e di esseri umani.
La Libia costituisce inoltre la principale porta d’ingresso dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per i Migranti, sono circa 636 mila i migranti presenti oggi in Libia (dicembre 2019), mentre sono 48 mila i rifugiati e richiedenti asilo registrati dall’UNHCR.
L’instabilità dell’attuale contesto politico-istituzionale ha facilitato l’organizzazione di una vasta rete di sfruttamento dei migranti (attraverso sequestri, lavoro forzato o estorsione di denaro), gestita sia da gruppi criminali altamente organizzati, sia da elementi appartenenti a milizie, forze armate e polizia o piccole bande.
Ma chi è considerato un “migrante” in Libia? L’attuale legislazione libica considera reato l’ingresso, l’uscita o la permanenza irregolare nel paese da parte di cittadini stranieri, senza fare alcuna distinzione tra richiedenti asilo, rifugiati, migranti o vittime di tratta. La Libia non ha poi aderito alla Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati e non esiste nel Paese una legislazione in materia di asilo né alcuna procedura di asilo stabilita. Di conseguenza, tutte le persone non libiche, indipendentemente dal loro status, ricadono sotto le leggi nazionali sull’immigrazione.
Di fatto, le violazioni a tale legislazione sono sanzionate con una pena detentiva a tempo indeterminato, con “lavori forzati” o con una multa di circa 1.000 dinari libici (circa 650 euro) e la successiva deportazione, una volta completata la condanna.
Molti migranti irregolari, o sospettati di esserlo, vengono spesso prelevati per strada o denunciati alle autorità dai loro datori di lavoro. Altri vengono invece trattenuti presso le strutture del dipartimento per la lotta alla migrazione irregolare del Ministero dell’Interno (Department for Combating Irregular Migration – DCIM), in stato di detenzione per un tempo indefinito in attesa dell’espulsione.
Anche a seguito dell’intercettazione o del salvataggio in mare, i migranti vengono consegnati dalla Guardia Costiera libica (un corpo militare creato nel 2017, addestrato e finanziato dall’Italia per intercettare le imbarcazioni di migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale e riportarle indietro), alle autorità del DCIM che le trasferisce direttamente nei centri di detenzione ufficiali.
Sebbene i centri di detenzioni ufficiale dipendano dal Ministero dell’Interno, spesso sono gestiti da milizie e gruppi armati che operano al di fuori dell’effettivo controllo governativo. Ad oggi sono operativi 11 centri ufficiali di detenzione per migranti formalmente controllati dalle autorità del Governo centrale, a fronte dei 63 censiti su tutto il territorio libico fino a qualche anno fa. A febbraio 2020, UNHCR stimava all’interno di questi centri la presenza di circa 2.800 migranti (di cui 1.700 richiedenti asilo).
Tuttavia oltre ai centri ufficiali, sono proliferati negli anni numerosissimi luoghi di detenzione informali, gestiti da grandi e piccoli organizzazioni criminali. L’accesso alle Nazioni Unite e altri simili enti è vincolato alla presenza e al potere delle stesse milizie armate: attualmente i centri di detenzione accessibili da Onu, Oim e organizzazioni umanitarie sono in tutto tre. È quindi impossibile conoscere con certezza il numero, certamente molto maggiore, delle persone rinchiuse nei luoghi di detenzione informali. Un recente reportage di Al-Jazeera, redatto lo scorso gennaio, ha parlato di “40.000 persone che vivono in centri di detenzione improvvisati”.
Le Nazioni Unite hanno definito “inimmaginabili orrori” i trattamenti subiti dai migranti all’interno dei centri. Secondo i dati raccolti da Medici per i Diritti Umani, nel periodo che va dal 2014 al 2020, l’85% dei migranti e rifugiati giunti dalla Libia in Europa ha subito torture e trattamenti inumani e degradanti e nello specifico il 79% è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati ed in pessime condizioni igienico sanitarie, il 75% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 65% gravi e ripetute percosse, nonché stupri, oltraggi sessuali, scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti.
Le violenze e i soprusi all’interno dei centri sono sistematicamente perpetrati da una pletora di attori. In primis figurano gli agenti di polizia e funzionari militari o anche bande criminali come gli Asma Boys, che gestiscono i ghettos o “luoghi speciali” dove i migranti vengono sequestrati e seviziati a scopo di estorsione. Gli stessi gruppi sono responsabili di attacchi violenti all’interno dei centri di raccolta dei migranti sulle rotte migratorie (foyers o connection houses) e nelle case private. In tutti questi luoghi i migranti vengono costretti ai lavori forzati, per mesi o anni, in condizioni di vera e propria schiavitù.
L’accordo Italia-Libia
Il 2 febbraio 2017, il governo italiano e il governo libico di riconciliazione nazionale presieduto da Fayez al-Serraj hanno siglato a Roma un accordo congiunto per il contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani e per il rafforzamento della sicurezza delle frontiere.
All’interno del Memorandum d’intesa Italia-Libia (Mou), i due paesi si impegnano a limitare l’arrivo di migranti dall’Africa sulle coste italiane. Per fare questo Roma ha disposto l’erogazione di fondi per l’addestramento e i mezzi in dotazione alla Guardia Costiera libica. L’Italia si impegna poi “a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. Nel Mou si parla anche di “adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza”, nonché della “formazione del personale libico” che vi lavora.
Il 2 febbraio 2020, il Mou è stato automaticamente prorogato per altri tre anni. L’Italia si è impegnata a continuare a finanziare la Guardia Costiera per soccorrere i migranti in mare e riportali in un Paese dove continuano ad essere esposti a torture, estorsioni e schiavitù.
Il 9 febbraio il governo italiano ha poi presentato alcune proposte di emendamento dell’intesa, che tuttavia non contengono modifiche sostanziali inerenti la sicurezza e la salvaguardia dei diritti fondamentali dei migranti. Viene richiesto a livello generale il rilascio di “donne, bambini e individui vulnerabili” detenuti all’interno dei centri ufficiali, ma non vengono specificate, per esempio, le tempistiche. Per quanto riguarda i luoghi di detenzione non ufficiali, ne viene richiesta invece la progressiva chiusura.
Lo scorso 16 luglio la Camera ha approvato il rifinanziamento delle missioni militari internazionali, compresi gli interventi in Libia, con uno stanziamento di oltre 58 milioni di euro, di cui 10 andranno alla missione bilaterale di assistenza alla Guardia Costiera libica, compresa la formazione e l’addestramento. Dalla firma del Mou nel 2017 i fondi stanziati dall’Italia alla Guardia Costiera sono saliti a 22 milioni.
Nonostante l’insistenza internazionale sulla questione del “rispetto degli obblighi in materia di diritti umani e protezione internazionale”, Libia non è firmataria né della Convenzione sui Diritti dell’Uomo, né della Convenzione di Ginevra del 1951 e appare, sulla base delle considerazioni esposte finora, che possa tradursi in realtà l’impegno nel rispettare i diritti di migranti e rifugiati.
Articolo a cura di Anthea Favoriti per Orizzonti Politici