Quasi tutti voi ricorderete questa giovane ragazza che, eludendo la censura del social network cinese Tik Tok, aveva denunciato i campi di concentramento in cui sono reclusi gli uiguri.
«Questo è un altro Olocausto, ma nessuno ne parla. Ti preghiamo di essere consapevole, per favore diffondi la consapevolezza dello Xinjiang, fallo in questo momento» ha detto, mano davanti alla bocca, prima di tornare alla lezione sul curling delle ciglia. Il post ha avuto milioni di visualizzazioni su TikTok ed è stato ampiamente condiviso ovunque.
Di che cosa parlava la diciassettenne Feroza Aziz? Cosa sta succedendo agli uiguri?
Chi sono
Gli uiguri sono un’etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, in cui costituiscono la maggioranza relativa della popolazione della regione (46%). Un altro gruppo di uiguri vive poi nella contea di Taoyuan della provincia dello Hunan (Cina centro-meridionale). Formano uno dei 57 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti in Cina.
Al di fuori della Cina, esistono significative comunità diasporiche di uiguri in diversi Paesi del mondo. Essi hanno caratteristiche fisiche piuttosto diversificate, presentando sia tratti prettamente europei che fattezze mediorientali e asiatiche.
Origini
Storicamente, il termine “uiguri” (che significa “alleati“, “uniti“) venne attribuito a un gruppo di tribù di lingua turca che viveva nell’odierna Mongolia, e fu uno dei maggiori e più importanti gruppi di lingua turca ad abitare l’Asia centrale.
Indipendentismo uiguro
L’attività indipendentista uigura ebbe origine nella prima metà del ‘900 e si proponeva come alternativa all’egemonia dei signori della guerra dello Xinjiang. Durante la guerra civile cinese, gli uiguri tentarono per due volte di istituire uno stato indipendente: dapprima nel 1934, con la creazione della Prima Repubblica del Turkestan orientale, in seguito con la Seconda Repubblica del Turkestan orientale. Quest’ultima venne tuttavia annessa alla Repubblica Popolare Cinese nel 1949.
Attualmente a livello nazionale la lotta politica per l’indipendenza uigura è supportata sia dai gruppi panturchi, tra cui il Partito del Turkestan Orientale, sia da altri movimenti estremisti musulmani, quali il Movimento Islamico del Turkestan Orientale e l’Organizzazione di Liberazione del Turkestan Orientale; questi ultimi sono attualmente presenti nella lista nera statunitense dei gruppi terroristici internazionali e sono responsabili di attacchi all’esercito cinese e alle strutture governative presenti nello Xinjiang.
Dal 2001, la lotta su scala mondiale al terrorismo islamico ha coinvolto anche alcuni dei gruppi politici d’ispirazione islamica più vicini agli Uiguri; a seguito di ciò, si è intensificata la repressione da parte del governo cinese dei movimenti indipendentisti.
Molti uiguri in esilio denunciano la sistematica violazione dei diritti umani da parte delle autorità cinesi, che reprimono ogni forma di espressione culturale del popolo uiguro.
Che cosa sta succedendo e perché vengono perseguitati?
Come stato comunista, la Cina considera i gruppi sociali che presentano differenze etniche o religiose come minacce etno-nazionaliste. Da maggio 2014 il governo cinese ha attuato lo “Strike Hard”, ovvero una campagna contro il terrorismo violento nello Xinjiang, che ha privato i musulmani uiguri dei loro diritti umani fondamentali. Praticare l’Islam è stato essenzialmente proibito e le autorità hanno vietato non solo i simboli religiosi come Corano e tappeti di preghiera, ma anche barbe lunghe e veli musulmani.
In seguito il governo cinese è passato a distruggere fisicamente le moschee, considerate il maggior simbolo della religione islamica. Un esempio? La moschea Keriya Aitika nello Xinjiang, importante sito storico e culturale protetto a livello nazionale, è stata distrutta all’inizio del 2018.
Ma le persecuzioni non sono si sono limitate ai simboli. Ad alcuni uiguri sono stati confiscati documenti come il passaporto, per impedire loro di viaggiare liberamente, mentre molti che vivono all’estero sono stati soggetti a estradizione e internamento. La libertà di movimento è stata ridotta per migliaia di uiguri, che per poter viaggiare devono richiedere un permesso speciale.
La repressione di questo popolo è però culminata con l’istituzione di campi di concentramento.
Il governo, fino al 2018, ha negato l’esistenza di strutture in cui quasi un decimo degli uiguri fossero stati internati contro la propria volontà, sostenendo che si trattasse di una notizia falsa. Successivamente i campi sono stati legalizzati a “scopo educativo”, quindi formalmente con la funzione di formare gli uiguri sulla cultura cinese.
Foto: Xinjiang Bureau of Justice WeChat Account
In questi “centri educativi” i prigionieri uiguri sono costretti a imparare il mandarino, giurare fedeltà al presidente cinese e rinunciare alla loro religione. Radio Free Asia è riuscita ad ottenere una registrazione ufficiale della Lega della Gioventù Comunista Cinese. In questo audio viene chiaramente spiegato che i campi sono “ospedali di rieducazione” usati per “ripulire il virus dal loro cervello e ripristinare la loro mente deviata in una mente normale“.
Nei campi di detenzione la resistenza ad assecondare la diottria cinese è punibile con l’isolamento e con la fame. Nei casi peggiori le punizioni diventano torture fisiche e mentali, che sfociano talvolta in violenze sessuali.
Vi sono alcune testimonianze a sostegno degli orrori che capitano in questi campi.
Nel 2018 Abdurahman Hasan, uomo d’affari uiguro, è stato intervistato dalla BBC News. L’uomo ha chiesto ai giornalisti di sparare alla madre 68enne e alla moglie 22enne dopo aver parlato dell’abuso commesso in uno dei i campi di Kashgar. Ovviamente la sua richiesta era retorica, ma piena di significato: la vita perde valore dopo violenze del genere.
Un altro uomo chiamato Kayrat Samarkand ha dichiarato di essere stato detenuto per tre mesi in uno dei campi di rieducazione della regione. L’uomo ha raccontato di aver affrontato lavaggi del cervello e umiliazioni, di essere stato costretto a studiare la propaganda comunista per ore ogni giorno e di aver dovuto recitare slogan per ringraziare Xi Jinping.
Nel novembre del 2019 l’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) ha fatto trapelare alcuni documenti ufficiali che descrivono esattamente come i detenuti vengono incarcerati, indottrinati e puniti. L’inchiesta ha trovato nuove prove che compromettono quanto sostiene Pechino per giustificare l’esistenza di questi campi di detenzione costruiti in tutto lo Xinjiang negli ultimi tre anni, cioè che hanno scopi di rieducazione volontaria per contrastare l’estremismo culturale islamico. Si pensa che circa un milione di persone, per lo più appartenenti alla comunità musulmana uigura, siano state arrestate senza processo e internati nei campi.
Questi documenti, che l’ICIJ ha etichettato con il nome di “The China Cables”, includono un memo di nove pagine inviato nel 2017 da Zhu Hailun, allora vice segretario del Partito comunista dello Xinjiang e il massimo funzionario della sicurezza della regione, ai responsabili della gestione dei campi. Le istruzioni chiariscono che i campi dovrebbero essere gestiti come prigioni di massima sicurezza, con rigore disciplinare, punizioni e nessuna fuga. I documenti rivelano, inoltre, come ogni aspetto della vita di un detenuto venga monitorato e controllato: sono state imposte norme comportamentali e requisiti disciplinari per alzarsi, telefonare, lavarsi, andare in bagno, organizzare e fare le pulizie, mangiare, studiare, dormire, chiudere la porta e così via. Infine, il memo descrive dettagliatamente come i detenuti potranno essere rilasciati solo quando sapranno dimostrare di aver trasformato le loro convinzioni, il loro comportamento e il loro linguaggio. Ai detenuti vengono assegnati punti per la loro “trasformazione ideologica, il loro studio, la formazione e il rispetto della disciplina”. Questo sistema di “punizioni e ricompense” aiuta a determinare se i detenuti sono pronti per entrare in contatto con la loro famiglia e per essere rilasciati. Più precisamente, sono presi in considerazione per il rilascio solo quando quattro comitati del Partito Comunista hanno prove tangibili della loro “trasformazione”.
I documenti trapelati rivelano anche come il governo cinese utilizzi la sorveglianza di massa e un programma di polizia preventiva che analizza i dati personali, e includono direttive esplicite per arrestare gli uiguri con cittadinanza straniera e per rintracciare gli uiguri che vivono all’estero. Le informazioni che ci giungono da questa documentazione delineano quello che sembra essere un sistema dettagliato e di vasta portata della sorveglianza statale nella regione, gestito dal governo locale nello Xinjiang, progettato per controllare i cittadini cinesi affinché pratichino pacificamente la loro cultura o religione.
Nel dicembre 2016, cinque persone sono state uccise – tra cui tre aggressori – a seguito di un’esplosione avvenuta presso l’ufficio locale del Partito comunista Karakax. I media statali cinesi hanno descritto l’episodio come un attacco terroristico. Questo episodio, insieme ad altri attacchi avvenuti nello Xinjiang e in altre parti della Cina, sono stati strumentalizzati da Pechino per giustificare la detenzione di massa degli uiguri, presumibilmente come mezzo per annullare la minaccia dell’estremismo islamico.
Il Ministero degli Esteri cinese afferma che da quando il sistema è stato istituito tre anni fa, nessuno è stato ucciso in attacchi terroristici nello Xinjiang. Sono poche le date riportate nel documento, ma la prima data di detenzione elencata risale a gennaio 2017, suggerendo che gli uiguri hanno iniziato a essere rinchiusi nei campi dopo l’attacco di dicembre.
La documentazione contiene poi rapporti dettagliati su ciascuno dei detenuti e sulle loro famiglie, inclusi non solo i loro numeri di identificazione nazionale e le loro occupazioni, ma anche le descrizioni dei loro vicini e valutazioni rigorose della loro attività religiosa quotidiana. Questi elementi sono indicati nel documento come i “Tre Circoli”: associazioni familiari, sociali e religiose. Sulla base di queste valutazioni, ogni record contiene anche un giudizio ufficiale sull’opportunità per il detenuto di lasciare il campo. L’azione fa parte di una più ampia campagna del leader cinese Xi Jinping per promuovere il nazionalismo Han – ossia della maggioranza etnica della Cina – come forza unificante, e per sopprimere qualsiasi identità etnica, culturale o religiosa che possa competere per la lealtà popolare con il Partito Comunista Cinese.
Tra il 2017 e il 2019, il think-tank ASPI (Australian Strategic Policy Institute) ha stimato che gli uiguri trasferiti fuori dalla regione autonoma dello Xinjiang occidentale per lavorare nelle fabbriche di tutta la Cina siano circa 80.000 . I detenuti sarebbero stati spostati tramite dei piani di trasferimento che rientrano nello “Xinjiang Aid”, una politica messa in atto dal governo centrale che ha come scopo quello di collocare gli uiguri in ambienti lavorativi. Secondo il rapporto di ASPI, gli stabilimenti in cui vengono sistemati i detenuti fanno parte della catena di approvvigionamento di 83 noti marchi globali, tra cui Nike, Apple e Dell. Il rapporto afferma, inoltre, che risulta estremamente difficile per gli uiguri rifiutare o sottrarsi agli incarichi di lavoro, essendo sottoposti alla minaccia della “detenzione arbitraria”.
L’ASPI ha affermato che nelle fabbriche gli uiguri sono in genere costretti a vivere in dormitori separati, che frequentano lezioni di mandarino e “addestramento ideologico” al di fuori dell’orario di lavoro, sono sottoposti a costante sorveglianza e non possono osservare le pratiche religiose.
Recentemente, è stata pubblicata un’altra inchiesta condotta da Associated Press secondo la quale il governo cinese imporrebbe una sterilizzazione forzata delle donne uigure con l’obiettivo di impedire che la minoranza continui a riprodursi. A tal fine, le donne verrebbero obbligate a sottoporsi all’inserzione di spirali intrauterine ma, diversamente da quelle usate comunemente in altri Paesi, quest’ultime sarebbero realizzate appositamente in modo tale da renderne difficile la rimozione.
Queste drastiche misure si sono rivelate efficienti a tal punto da aver causato una drastica diminuzione della popolazione uigura negli ultimi anni. Per questo motivo molti esperti parlano di “genocidio demografico” in accordo con quanto affermato nell’ambito della Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio adottata dalle Nazioni Unite, di cui fa parte la stessa Cina.
Qual è stata la risposta globale a questa repressione?
Gran parte del mondo ha condannato la detenzione cinese degli uiguri nello Xinjiang. I funzionari delle Nazioni Unite hanno chiesto l’accesso ai campi, l’Unione europea ha invitato la Cina a rispettare la libertà religiosa e a cambiare le sue politiche nello Xinjiang e le organizzazioni per i diritti umani hanno esortato la Cina a chiudere immediatamente i campi e rispondere alle domande sugli uiguri scomparsi.
È curioso come si siano dimostrate silenziose molte nazioni musulmane. Dando priorità ai legami economici e alle relazioni strategiche con la Cina, molti governi hanno ignorato le molteplici violazioni dei diritti umani. Nel luglio 2019, dopo che un gruppo di paesi prevalentemente europei (e non di paesi a maggioranza musulmana) ha firmato una lettera indirizzata all’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite che condannava le azioni della Cina nello Xinjiang, oltre tre dozzine di stati, tra cui Pakistan e Arabia Saudita, hanno redatto una propria lettera elogiando i “notevoli risultati” ottenuti dalla Cina in materia di diritti umani e i suoi sforzi nella lotta al terrorismo nello Xinjiang. All’inizio del 2019, la Turchia è diventata l’unico paese a maggioranza musulmana a manifestare preoccupazione quando il suo ministro degli Esteri ha invitato la Cina a garantire “la piena protezione delle identità culturali degli uiguri e degli altri musulmani” durante una sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani.
Nell’ottobre 2019, gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni sui visti ai funzionari cinesi “ritenuti responsabili o complici” della detenzione di musulmani nello Xinjiang. Hanno inoltre inserito nella lista nera numerose società e agenzie cinesi collegate ad abusi nella regione, inclusi i produttori di tecnologie di sorveglianza e l’ufficio di pubblica sicurezza dello Xinjiang. Nel giugno 2020, il presidente Trump ha firmato la legge, approvata con un enorme sostegno dal Congresso, che impone sanzioni alla Cina per l’oppressione degli uiguri. La suddetta legge richiede, inoltre, che le aziende e gli individui statunitensi che vendono prodotti o operano nello Xinjiang assicurino che le loro attività non contribuiscano alle violazioni dei diritti umani, incluso l’uso del lavoro forzato.
Le informazioni che abbiamo sulla detenzione degli uiguri sono sicuramente parziali, visto che il governo cinese esercita un controllo quasi totale sull’apparato informativo del Paese. Per il momento possiamo contare solo sulle dichiarazioni di chi è entrato in contatto direttamente o indirettamente con questi campi, ma anche in questo caso è probabile che le persone coinvolte preferiscano non esporsi eccessivamente per paura di conseguenze personali. Quello che possiamo fare, è diffondere la consapevolezza che nel 2020 sono ancora presenti grosse realtà di soppressione razziale che vengono nascoste alla popolazione, e fare pressione sui governi affinché condannino a livello internazionale la Cina per la strage etnica che sta portando avanti.